Sfogliando
per caso una rivista divulgativa di psichiatria, inaspettatamente ho trovato un
articolo che conteneva un interessante contributo al chiarimento della controversa
questione dei rapporti fra immigrazione illegale e terrorismo. La questione -
come ormai avviene abitualmente in Italia - è oggetto di una visione
'polarizzata', ovvero di opinioni simmetricamente opposte senza soluzioni
intermedie. Mentre alcuni sostengono che, mediante i flussi migratori,
terroristi di matrice islamica possano facilmente introdursi nel nostro Paese,
altri escludono questa possibilità. In realtà è poco probabile che un
terrorista addestrato, ovvero oggetto di un sensibile investimento in attività
di formazione, possa affidarsi alla lotteria dei viaggi con i barconi impiegati
dai clandestini: per raggiungere l'Europa questi individui possono utilizzare
rotte più comode, valersi di connivenze, procurarsi senza troppe difficoltà
documenti contraffatti. Tuttavia può accadere che un migrante clandestino,
giunto in Italia con mezzi di fortuna, trovi nel nostro Paese condizioni
favorevoli per la sua radicalizzazione. Così, ad esempio, è avvenuto per Anis
Amri, il giovane tunisino responsabile dell'attentato a Berlino del 19 dicembre
2016. Il terrorista, approdato nel febbraio 2011 a Lampedusa insieme ad altri
profughi, successivamente fu coinvolto in alcuni disordini, a seguito dei quali
venne condannato a quattro anni per minacce aggravate, lesioni personali e
incendio doloso, ed espulso nel 2015 (il provvedimento tuttavia non venne
attuato). Prima di arrivare in Europa Anis Amri non era un estremista
religioso: progressivamente si radicalizzò, prima in Italia durante i quattro
anni passati in carcere, poi in Germania a seguito di contatti con una rete di
fondamentalisti islamici. La sindrome di Ulisse è caratterizzata da sintomi di
natura psicosomatica, che sono la conseguenza del malessere psichico, dello
smarrimento, del senso di fallimento e di perdita dell'identità, che può
provare chi abbandona il proprio Paese per trasferirsi in una nuova realtà. La
condizione di stress conseguente allo scomodo e incerto 'trasferimento'
mediante carrette del mare, e alle successive difficoltà di inserimento e alla
frustrazione delle aspirazioni 'di normalità', rendono questi individui
particolarmente vulnerabili alle suggestioni e al proselitismo della propaganda
jihadista, che fornisce loro delle certezze che si surrogano alla situazione di
precarietà. Questa tesi suggerisce due conclusioni. Innanzitutto le politiche
di integrazione potrebbero essere il più efficace antitodo contro le derive
terroristiche che hanno come presupposto il disorientamento e la sensazione di
estraneità che consegue alla sindrome di Ulisse. Inoltre, limitatamente a
questi casi, la tesi in questione, che sottolinea l'influenza dei disagi
conseguenti alle migrazioni, ridimensiona l'importanza dell'Islam come fattore
scatenante quel processo di radicalizzazione di giovani musulmani, che può
avere come esito il loro reclutamento alla causa 'jihadista'. Questo processo
sarebbe alimentato dall'aspirazione ad una malintesa emancipazione e ad un
riscatto che avrebbe natura politica e sociale, ma non religiosa. Roberto Rapaccini