È passata una settimana dai due attacchi di matrice jihadista di Barcellona e Cambrils, rivendicati dallo Stato Islamico. Le vittime coinvolte appartengono a 35 nazionalità. I fatti sono noti, come peraltro le successive acquisizioni investigative. Da quanto emerso possono essere fissati alcuni punti. Anche se può sembrare paradossale, questi attentati confermano - come ha osservato uno stimato analista[1] - che le capacità offensive dell’Isis sono in sensibile declino. Questo non ci garantisce che in futuro non ci saranno fatti criminali, o che eventuali prossimi attacchi saranno meno cruenti. Al contrario l’estemporanea organizzazione di progetti criminali accrescerà la loro imprevedibilità, e questo renderà particolarmente complessa l’attività preventiva. Dobbiamo acquisire la consapevolezza che è in atto un conflitto. Tuttavia, analizzando la sequenza degli attentati pianificati o ispirati dallo Stato Islamico, registriamo che si sono dilatati i tempi fra un crimine e un altro; notiamo che dalla infallibile progettazione e dalla perfetta esecuzione di piani delinquenziali si è passati a iniziative isolate e più approssimative (come si evince dalla facile neutralizzazione dei jihadisti autori dei fatti di Cambrils); osserviamo che anziché ricorrere all’uso di strumenti con una micidiale potenza di fuoco, cinture esplosive e kalashnikov, come è avvenuto in pregresse analoghe circostanze, oggi si utilizzano coltelli e van lanciati contro la folla inerme, strumenti ugualmente letali ma indici di una maggiore difficoltà dei terroristi a procurarsi adeguati armamenti. Inoltre, mentre i fatti di Parigi sono stati commessi da militanti addestrati nei territori siriani e iracheni in mano all’Isis, gli autori dei crimini di Barcellona e Cambrils sono giovani non in possesso di un significativo ‘curriculum criminale’. Questi cambiamenti, sebbene non possano tranquillizzarci, sono motivo di riflessione e vanno oggettivamente valutati. Non dobbiamo illuderci che la fine prossima dell’Isis, ovvero la sua definitiva sconfitta militare segnerà il ritorno alla normalità. Al contrario il Jihadismo è un’ideologia diffusa che continuerà a persistere con una forte e destabilizzante determinazione, forse accresciuta da una più difficile sopravvivenza. Anzi il carattere acefalo del radicalismo islamico, cioè l’assenza di un riferimento ideologico e operativo - come attualmente è Daesh - e di una minima omogeneità strutturale, renderanno più impegnativa l’attività preventiva delle intelligences nazionali. Non sembra che possano essere mosse critiche all’intelligence e alle forze di polizia spagnole. Esistono alcune analogie fra la Spagna e l’Italia. Entrambi i Paesi sono maturati nel contrasto del terrorismo interno attrezzandosi adeguatamente (a parte qualche grave gaffe politica, come l’attribuzione in un primo momento all’organizzazione indipendentista dell’Eta dell’attentato di Atocha del 2004). Nei due Paesi sono molto puntuali le misure di ordine e sicurezza pubblica, con un ampio impiego di personale in uniforme e di mezzi militari nei dispositivi preventivi con finalità dissuasive e deterrenti, Sia l’intelligence spagnola che quella italiana hanno una riconosciuta oggettiva professionalità. Com’è noto, in Spagna le istanze autonomistiche sono molto forti; il contrasto del terrorismo è una competenza dello Stato centrale, ma questo non esclude difficoltà di intesa con le polizie regionali (come quella catalana). Qualche polemica di questi giorni ne è la conferma. È plausibile che l’Italia possa essere in un futuro prossimo teatro di un attacco terroristico, solo tentato si spera. Questo non dipenderà da deficit nelle predisposizioni di sicurezza, che, per quanto efficienti, non possono garantirci in termini assoluti. L’Isis ha sempre più difficoltà a mantenere contatti con le sue ramificazioni periferiche, e perciò lancia ‘in chiaro’ i suoi messaggi utilizzando i suoi strumenti mediatici, sperando che questi ordini siano recepiti da cellule nazionali o da isolati aspiranti terroristi. E la direttiva che è stata diffusa è quella di colpire il nostro Paese. Depone a nostro favore che ‘proclami’ di questo genere sono stati già emessi in passato senza conseguenze. Inoltre si registra in Italia una minore presenza di jihadisti rispetto a quella che si riscontra in altri Stati europei: questa circostanza indubbiamente facilità l’attività di prevenzione, già qualitativamente elevata grazie alla professionalità dei nostri apparati. A margine e integrazione del precedente punto, si aggiunge che in relazione all’attuale ampio ricorso alle iniziative dei cosiddetti lupi solitari uno studioso norvegese[2] sostiene che questa realtà rappresenterebbe una scelta strategica dell’Isis. Infatti lo stesso Stato Islamico alimenterebbe una tale propaganda al fine di riuscire ad attivare centinaia di individui privi di connessioni tra loro e con i loro vertici operativi e ideologici, che passando da una fase dormiente all’attività sarebbero più difficili da intercettare per i servizi di sicurezza nazionali. Questo garantirebbe una miriade di piccoli attacchi. In altri termini i lupi solitari non esisterebbero. Perché la Spagna? Sono state formulate tante teorie, con riferimenti storici, sociologici, politici, culturali: tutte molto interessanti e da leggere attentamente come prezioso contributo alla comprensione delle peculiarità della presenza islamica nella penisola iberica. Molto più semplicemente si deve rilevare che l’iniziativa criminale a Barcellona è stata facilitata da una massiccia presenza jihadista in Spagna come peraltro le tante iniziative investigative degli apparati di sicurezza e le condanne giudiziarie confermano. Si osserva ancora una volta che il Marocco insieme alla Tunisia sono fucine del terrorismo di matrice fondamentalista. Il Marocco nell’ambito dei Paesi del Maghreb è un’oasi particolarmente felice sotto molti punti di vista, ma resta un dato di fatto che molti terroristi sono marocchini. Al di là delle spiegazioni di questa contraddizione, che è un dato non trascurabile, è fondamentale che sia implementata la cooperazione informativa e operativa fra le nostre autorità e quelle marocchine. Peraltro con la probabile prossima fine dell’Isis il Regno del Marocco dovrà gestire circa duemila foreign fighters di ritorno dai territori dello sconfitto Stato Islamico[3]. Roberto Rapaccini
[1] Alessandro
Orsini.
[2] Petter
Nasser.
[3] I
rapporti fra Fondamentalismo violento e Regno del Marocco saranno oggetto di un
prossimo esame.