RASSEGNA STAMPA S.

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• Il Passato sarà un buon rifugio, ma il Futuro è l'unico posto dove possiamo andare. (Renzo Piano) •

PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

domenica 27 dicembre 2020

RIFLESSIONI A MARGINE DELLA MORTE DI SHIMON PERES (30 settembre 2016)

 

La recente morte di Shimon Peres ha richiamato l'attenzione sulla centralità storica e politica di Israele, e sull'importanza della questione palestinese nel contesto degli equilibri mediorientali. Siamo ormai abituati a convivere con la convinzione che non sia possibile un accordo che ponga fine alla contesa fra israeliani e palestinesi, una patologia geopolitica ormai diventata fisiologica. Le attività di mediazione di Paesi terzi o di organizzazioni internazionali si sono scontrate in concreto con la difficoltà di trovare soluzioni che fossero legittime, ovvero che avessero le potenzialità per assicurare un assetto equo degli interessi contrapposti. Infatti, da un punto di vista politicamente neutro e imparziale le motivazioni addotte dalle parti appaiono ugualmente meritevoli di considerazione: da una parte gli ebrei rivendicano la regione dalla quale sono stati storicamente cacciati, dall'altra i palestinesi reclamano i territori che hanno perso a seguito della nascita di Israele. L'assetto stabilito dalla Risoluzione dell'Onu 181 del 1947, denominata 'Piano di partizione della Palestina', ebbe un'attuazione solo parziale in quanto determinò esclusivamente la nascita di Israele, i cui confini sono stati poi modificati dalle successive note vicende belliche, che hanno generato una escalation senza ritorno: come disse Shimon Peres con un'efficace metafora, con le uova si può fare una frittata ma dalla frittata non si può tornare alle uova. Si evince da quanto premesso che questo conflitto non ha natura religiosa come in qualche occasione è stato erroneamente ritenuto, ma si fonda solo su pretese territoriali che in concreto hanno (e continuano ad avere) come corollario la gestione della difficile convivenza fra arabi e israeliani. Segnatamente vi è incertezza sulle frontiere che dovrebbero delimitare i territori sotto la giurisdizione di Israele e sullo status da conferire alla Palestina. Gli israeliani cercano di far prevalere le loro mire espansionistiche attraverso l'occupazione di territori (militare o mediante insediamenti), mentre la resistenza palestinese si avvale, come strumento di intimidazione, dell'azione terroristica di gruppi armati. In proposito le opzioni strategiche dei leader palestinesi sono state sempre più impegnate a danneggiare Israele piuttosto che a porre positivamente le premesse per una reale indipendenza.  La comune aspirazione ad una pace giusta sembra pertanto insidiata dalla difficoltà di fissare i contenuti di una composizione degli interessi contrapposti ritenuta equa da entrambe le etnie. Ragionando in termini pragmatici, che sia ritenuta giusta o meno l'unica soluzione possibile consiste esclusivamente nella coesistenza di due Stati, ovvero nella creazione di uno Stato palestinese accanto a quello a maggioranza ebraica: tuttavia, l’istituzione dello Stato palestinese impone ad Israele la rinuncia ai territori occupati e a parte della giurisdizione su Gerusalemme (in particolare sulla città vecchia e sulla spianata delle moschee). Non si tratta di richieste che possono essere facilmente accettata dalle frange più nazionaliste e conservatrici della società israeliana. La costituzione di uno Stato palestinese - che ha come presupposto il ritiro dai territori occupati - dovrebbe essere perseguita anche nell'interesse dei cittadini israeliani, stanchi di vivere perennemente sotto assedio e desiderosi di offrire un sereno futuro di pace ai propri figli. Come è stato già detto in precedenza, non è possibile valutare se la creazione dello Stato palestinese possa essere obiettivamente la soluzione giusta, in quanto i punti di vista delle due etnie sono - com'è noto - molto distanti. Tuttavia questa è sicuramente in concreto è l'unica alternativa possibile ad una condizione di eterna belligeranza. Ovviamente, intrapresa questa opzione, non sarà facile fissare i contenuti dell'accordo. Come spesso accade in queste occasioni, uno degli ostacoli con il quale devono misurarsi le rispettive diplomazie consiste nel far accettare i sacrifici imposti dalla composizione della vertenza alla propria base popolare, sempre particolarmente attenta e sensibile, anche in maniera irrazionale, a qualsiasi rinuncia di sovranità imposta al proprio Stato. In altri termini in questo tipo di contingenze diplomatiche può essere più difficile trovare un'intesa con la propria base popolare, piuttosto che con la controparte. La realtà israeliana non è monoliticamente e aprioristicamente antiaraba, come erroneamente si è tentati di ritenere, ma è caratterizzata da diversificate componenti che si contrappongono in un animato, vivace e articolato dibattito democratico, anche in ambiti istituzionali. In proposito, attualmente si nota una frattura fra le istituzioni governative e la gente comune. Mentre alcune componenti politiche persistono nel mantenere una linea rigida che rifiuta compromessi, la maggior parte degli israeliani è provata dalla precarietà. Inoltre, come corollario, si percepiscono segnali, che provengono dalla società civile, che sono espressione del desiderio di una pacifica convivenza interetnica e interreligiosa. Alcuni esempi. A pochi chilometri da Abu Gosh, ritenuto il luogo nel quale 6000 anni fa venne depositata l'Arca dell'Alleanza, e sulla via per Emmaus, il villaggio in cui Cristo si rivelò dopo la resurrezione, sta sorgendo Saxum, un centro residenziale e multimediale, nel quale saranno ospitati fedeli di tutte le religioni per una comune esperienza spirituale. E' particolarmente significativo che all'edificazione del centro partecipino, lavorando operosamente e in armonia fianco a fianco, ebrei e arabi, musulmani e cristiani. A pochi chilometri dal muro che divide Gerusalemme da Betlemme si trova l'ospedale pediatrico Caritas Baby, che ha accettato la sfida e l’impegno di curare tutti i bambini, senza differenze fra ebrei e palestinesi. Potrebbe sembrare normale prestare assistenza a malati non tenendo conto dell'appartenenza etnica o religiosa, ma non lo è in questa terra dilaniata dall'odio. Le attività sanitarie dell'ospedale, compreso il pagamento mensile dei salari, sono sostenute dalla generosità di singoli cittadini e da associazioni e organizzazioni, anche di altri Paesi. In questa prospettiva di pace sta assumendo un'importanza centrale l'Associazione SISO (Save Israel - Stop the Occupation), che sarà oggetto di un successivo specifico post. Roberto Rapaccini