La
recente morte di Shimon Peres ha richiamato l'attenzione sulla centralità
storica e politica di Israele, e sull'importanza della questione palestinese
nel contesto degli equilibri mediorientali. Siamo ormai abituati a convivere
con la convinzione che non sia possibile un accordo che ponga fine alla contesa
fra israeliani e palestinesi, una patologia geopolitica ormai diventata
fisiologica. Le attività di mediazione di Paesi terzi o di organizzazioni
internazionali si sono scontrate in concreto con la difficoltà di trovare
soluzioni che fossero legittime, ovvero che avessero le potenzialità per
assicurare un assetto equo degli interessi contrapposti. Infatti, da un punto
di vista politicamente neutro e imparziale le motivazioni addotte dalle parti
appaiono ugualmente meritevoli di considerazione: da una parte gli ebrei
rivendicano la regione dalla quale sono stati storicamente cacciati, dall'altra
i palestinesi reclamano i territori che hanno perso a seguito della nascita di
Israele. L'assetto stabilito dalla Risoluzione dell'Onu 181 del 1947,
denominata 'Piano di partizione della Palestina', ebbe un'attuazione solo
parziale in quanto determinò esclusivamente la nascita di Israele, i cui
confini sono stati poi modificati dalle successive note vicende belliche, che
hanno generato una escalation senza ritorno: come disse Shimon
Peres con un'efficace metafora, con le uova si può fare una frittata ma dalla
frittata non si può tornare alle uova. Si evince da quanto premesso che questo
conflitto non ha natura religiosa come in qualche occasione è stato
erroneamente ritenuto, ma si fonda solo su pretese territoriali che in concreto
hanno (e continuano ad avere) come corollario la gestione della difficile
convivenza fra arabi e israeliani. Segnatamente vi è incertezza sulle frontiere
che dovrebbero delimitare i territori sotto la giurisdizione di Israele e
sullo status da conferire alla Palestina. Gli israeliani
cercano di far prevalere le loro mire espansionistiche attraverso l'occupazione
di territori (militare o mediante insediamenti), mentre la resistenza
palestinese si avvale, come strumento di intimidazione, dell'azione
terroristica di gruppi armati. In proposito le opzioni strategiche dei leader palestinesi
sono state sempre più impegnate a danneggiare Israele piuttosto che a porre
positivamente le premesse per una reale indipendenza. La
comune aspirazione ad una pace giusta sembra pertanto insidiata dalla
difficoltà di fissare i contenuti di una composizione degli interessi
contrapposti ritenuta equa da entrambe le etnie. Ragionando in termini pragmatici,
che sia ritenuta giusta o meno l'unica soluzione possibile consiste
esclusivamente nella coesistenza di due Stati, ovvero nella creazione di uno
Stato palestinese accanto a quello a maggioranza ebraica: tuttavia,
l’istituzione dello Stato palestinese impone ad Israele la rinuncia ai
territori occupati e a parte della giurisdizione su Gerusalemme (in particolare
sulla città vecchia e sulla spianata delle moschee). Non si tratta di richieste
che possono essere facilmente accettata dalle frange più nazionaliste e
conservatrici della società israeliana. La costituzione di uno Stato
palestinese - che ha come presupposto il ritiro dai territori occupati -
dovrebbe essere perseguita anche nell'interesse dei cittadini israeliani,
stanchi di vivere perennemente sotto assedio e desiderosi di offrire un sereno
futuro di pace ai propri figli. Come è stato già detto in precedenza, non è
possibile valutare se la creazione dello Stato palestinese possa essere obiettivamente
la soluzione giusta, in quanto i punti di vista delle due etnie sono - com'è
noto - molto distanti. Tuttavia questa è sicuramente in concreto è l'unica
alternativa possibile ad una condizione di eterna belligeranza. Ovviamente,
intrapresa questa opzione, non sarà facile fissare i contenuti dell'accordo.
Come spesso accade in queste occasioni, uno degli ostacoli con il quale devono
misurarsi le rispettive diplomazie consiste nel far accettare i sacrifici
imposti dalla composizione della vertenza alla propria base popolare, sempre
particolarmente attenta e sensibile, anche in maniera irrazionale, a qualsiasi
rinuncia di sovranità imposta al proprio Stato. In altri termini in questo tipo
di contingenze diplomatiche può essere più difficile trovare un'intesa con la
propria base popolare, piuttosto che con la controparte. La realtà israeliana
non è monoliticamente e aprioristicamente antiaraba, come erroneamente si è
tentati di ritenere, ma è caratterizzata da diversificate componenti che si
contrappongono in un animato, vivace e articolato dibattito democratico, anche
in ambiti istituzionali. In proposito, attualmente si nota una frattura fra le
istituzioni governative e la gente comune. Mentre alcune componenti politiche
persistono nel mantenere una linea rigida che rifiuta compromessi, la maggior
parte degli israeliani è provata dalla precarietà. Inoltre, come corollario, si
percepiscono segnali, che provengono dalla società civile, che sono espressione
del desiderio di una pacifica convivenza interetnica e interreligiosa. Alcuni
esempi. A pochi chilometri da Abu Gosh, ritenuto il luogo nel quale 6000 anni
fa venne depositata l'Arca dell'Alleanza, e sulla via per Emmaus, il villaggio
in cui Cristo si rivelò dopo la resurrezione, sta sorgendo Saxum, un centro
residenziale e multimediale, nel quale saranno ospitati fedeli di tutte le
religioni per una comune esperienza spirituale. E' particolarmente
significativo che all'edificazione del centro partecipino, lavorando
operosamente e in armonia fianco a fianco, ebrei e arabi, musulmani e
cristiani. A pochi chilometri dal muro che divide Gerusalemme da Betlemme si
trova l'ospedale pediatrico Caritas Baby, che ha accettato la sfida e l’impegno
di curare tutti i bambini, senza differenze fra ebrei e palestinesi. Potrebbe
sembrare normale prestare assistenza a malati non tenendo conto
dell'appartenenza etnica o religiosa, ma non lo è in questa terra dilaniata
dall'odio. Le attività sanitarie dell'ospedale, compreso il pagamento mensile
dei salari, sono sostenute dalla generosità di singoli cittadini e da associazioni
e organizzazioni, anche di altri Paesi. In questa prospettiva di pace sta
assumendo un'importanza centrale l'Associazione SISO (Save Israel - Stop the
Occupation), che sarà oggetto di un successivo specifico post. Roberto Rapaccini