Come
sostiene il professor Daniel Bar-Tal[1],
i contrasti fra ebrei e palestinesi appartengono alla categoria dei conflitti
irrisolti. Questa tipologia è integrata da contrapposizioni che hanno un
carattere radicale in quanto le parti percepiscono i relativi interessi del
tutto incompatibili e inconciliabili fra di loro; conseguentemente le
rispettive soggettività politiche che sono referenti delle collettività
contrapposte non sono disponibili a compromessi. Queste premesse spiegano il
carattere permanente di certi scontri e l'oggettiva difficoltà di trovare
soluzioni che possano essere accettate dalle rispettive comunità. Spesso i
conflitti irrisolti per il loro carattere politico travalicano i confini locali
e possono esercitare effetti destabilizzanti a livello internazionale. Il
confronto fra israeliani e palestinesi non può essere ricondotto solo ad un
contrasto fra diverse confessioni, cioè fra ebrei e musulmani, né a una guerra
fra due popoli. Questo conflitto al contrario ha una natura estremamente
composita e complessa, in quanto in esso, oltre a componenti di carattere
religioso ed etnico, confluiscono elementi che incidono su equilibri
geopolitici, mondiali e regionali, o che sono mutuati da aspetti umani, storici
e culturali. Per le implicazioni transnazionali la soluzione di questo
conflitto va oltre la mera riconciliazione tra i due popoli. Le trattative fra
israeliani e palestinesi hanno sempre avuto le peculiarità di un dialogo fra
sordi. Per Hamas, l'organizzazione estremista politico-religiosa palestinese,
gli attacchi terroristici contro Israele sarebbero una modalità necessaria per
difendere i propri territori dall'aggressione sionista. Al contrario Israele
rivendica il diritto di occupare nuovi territori per insediare comunità; questi
intenti espansionistici sarebbero motivati anche da una carenza abitativa.
Analogamente israeliani e palestinesi rivendicano per opposti motivi la
legittimità delle loro pretese di sovranità su Gerusalemme. Quest'ultima
ambizione ha anche una matrice religiosa: Gerusalemme infatti è la terza città
sacra dell'Islam dopo La Mecca e Medina, mentre il nome della metropoli in
ebraico significa letteralmente il luogo dove apparirà il Messia.
Le scelte strategiche di israeliani e palestinesi, oltre ad avere margini di
illegalità, si traducono in concreti ostacoli a prospettive di pace. C'è una
chiara asimmetria fra gli attori dei negoziati: Israele è uno Stato moderno e
solido; il popolo palestinese non ha invece una chiara soggettività politica,
né un esercito regolare, e con difficoltà individua una leadership pienamente
rappresentativa e plenipotenziaria. La rispettiva propaganda interna delle due
parti, già a cominciare dai testi scolastici, demonizza il 'nemico'
descrivendolo come un interlocutore crudele, sanguinario, e soprattutto
disinteressato ad una composizione pacifica della vertenza. A causa di
quest'ottica negativa e deviata, nell'immaginario collettivo degli israeliani
tutti i palestinesi sono terroristi, mentre in quello dei palestinesi tutti gli
israeliani sono oppressori e usurpatori. Fortunatamente non mancano su entrambi
i fronti personalità moderate che auspicano la tolleranza e l'accettazione
dell'altro. Sia la società israeliana che quella palestinese hanno molti
problemi interni che rendono difficile la definizione di una propria condivisa
identità: l'esistenza di un nemico esterno, come avviene frequentemente in casi
analoghi, distoglie da questi problemi e unifica il sentimento nazionale. C'è
ancora una lunga strada da fare. Gli approfondimenti e le analisi del
Prof. Daniel Bar-Tal e di altri studiosi israeliani sugli aspetti che rendono
irrisolto (o intractable, come dicono gli inglesi con
un'espressione più pragmatica) il conflitto fra israeliani e palestinesi, non
sono una mera speculazione o un contributo intellettuale alla democrazia
israeliana, ma hanno importanti risvolti pratici, in quanto sono finalizzati
all'individuazione delle barriere socio-psicologiche che impediscono ad Israele
di intraprendere un cammino di pace. Essere consapevoli di questi ostacoli è il
presupposto per il loro superamento e per l'individuazione di azioni concrete
la cui attuazione potrà essere congiuntamente concertata in un eventuale tavolo
negoziale. In proposito, Shimon Peres amava dire: "...non è vero che non
c'è luce in fondo al tunnel in Medio Oriente. Tutt'altro, la luce c'è. Il problema
è che non c'è il tunnel…". Roberto Rapaccini
[1] Il
prof. Daniel Bar-Tal è docente emerito di Psicologia politica
all’Università di Tel Aviv. Dal 2000 al 2005 è stato direttore dell’Istituto
di ricerca Walter Lebachper la coesistenza tra arabi e ebrei attraverso
l’educazione; dal 2001 al 2005 è stato condirettore del Palestine
Israel Journal; dal 1999 al 2000 è stato Presidente della Società
Internazionale di Psicologia della Politica.