Siamo
abituati ad associare i Balcani alle rotte della criminalità organizzata e
dell'immigrazione clandestina dimenticando che in questa regione si trovano
anche gli unici Stati del continente europeo nei quali è presente una
consistente maggioranza musulmana (di rito sunnita). Ci si riferisce in
particolare alla Bosnia Erzegovina (poco più del 50% della popolazione è
islamica), all'Albania (il 60%), al Kosovo (il 90%), che sono pertanto luoghi
privilegiati per la formazione di jihadisti e per il transito
di fondamentalisti diretti in Europa. La rilevanza dell'Islam nella penisola
balcanica è emersa nel lungo periodo di instabilità e durante i conflitti
seguiti alla scomparsa del leader comunista Tito, che era riuscito a garantire
l'accordo fra realtà religiose eterogenee. In questo contesto l'Islam assunse
specifiche peculiarità e un forte carattere politico, perché si coniugò con le
rivendicazioni autonomiste di alcune aree, diventando funzionale alla coesione
etnica e alla difesa di pretese integrità territoriali. Durante gli eventi
bellici dal 1992 al 1999 affluirono combattenti stranieri fondamentalisti. Il
loro intento non fu solo quello di dare attuazione alla jihad, ma
anche di riproporre in questo scenario la lotta per l'egemonia nel mondo
islamico fra Iran e Arabia Saudita. Fin dal crollo della nazione jugoslava
infatti entrambi gli Stati islamici hanno curato la costruzione di reti di
influenza in questa regione. Il proselitismo islamista, unito a criticità
socio-economiche, come gli alti tassi di disoccupazione giovanile, la povertà,
la carente istruzione, l'emarginazione, le discriminazioni e la scarsa
incidenza delle attività delle istituzioni statali, ha favorito fenomeni di
radicalizzazione. In proposito il Kosovo, che ha avuto un modesto
sviluppo economico, è il Paese più esposto al rischio di derive fondamentaliste,
e costituisce un safe harbour per l'estremismo. Erano kosovari
i quattro terroristi che avevano progettato di distruggere a Venezia il Ponte
di Rialto. I Balcani ospitano le basi logistiche di gruppi affiliati all'Isis e
ad Al Nusra, che si finanziano prevalentemente con il traffico di droga.
Tuttavia il rischio di terrorismo 'interno' rimane basso, perché queste
articolazioni della galassia jihadista sono destinate
prevalentemente al supporto del transito di foreign fighters o
di returnees, che sono gli occidentali di ritorno dopo essere
partiti per arruolarsi con le truppe di Al Baghdadi in Siria o in Iraq.
La cooperazione di polizia e lo scambio di informazioni fra i Paesi della
regione è insufficiente. Peraltro, le sole misure repressive adottate dagli
Stati, disgiunte da iniziative strumentali all'integrazione, favoriscono la
marginalizzazione degli individui vulnerabili alla radicalizzazione. I Balcani
sono quindi una realtà strategica nella lotta al terrorismo di matrice islamica
che l'Europa non può trascurare, nella prospettiva di una maggiore stabilità e sicurezza
del nostro continente. Roberto Rapaccini