Siamo
abituati a considerare le Maldive una specie di Paradiso in terra, il mare è
uno splendido acquario, i cieli sono azzurri, la gente locale si mostra
bendisposta, premurosa, contenta di averci come ospiti. Il tempo scorre lento e
tranquillo, mentre per noi sono normali ritmi convulsi e frenetici. Quel mondo
sembra incredibilmente lontano dalla nostra civiltà, soprattutto dalle immagini
di guerra, di sangue e di attentati, con le quali quotidianamente conviviamo.
Non è così. In questi giorni nel Paese è scoppiata una guerra civile di vaste
proporzioni, che ha la sua origine negli irriducibili contrasti fra il governo
e l’opposizione. Tutto questo sta avvenendo nella capitale Malè, lontano dal
contesto artificioso dei villaggi turistici ospitati in centinaia di isolette
sparse nell’Oceano Indiano. I travagli che sta vivendo il Paese non sono una
sorpresa. Da molti anni fuori dai resort la Repubblica delle
Maldive, un Paese islamico nel quale vige una rigida applicazione della legge
coranica, è uno Stato insicuro. La corruzione, la violenza, la criminalità, i
traffici illegali sono fuori controllo. La povertà, la miseria e le differenze
sociali sono mali endemici. Nell’arcipelago abitano 350 mila persone, per lo
più musulmani di confessione sunnita salafita, molti dei quali stanno subendo
un processo di radicalizzazione. In rapporto alla popolazione le Maldive sono
il Paese islamico che ha fornito il maggior numero di Foreign fighter.
Nonostante questo, forse a causa delle distanze dalla capitale e
dall’isolamento, le strutture turistiche non sono state mai oggetto di
attentati. I turisti generalmente non si rendono conto delle difficili
condizioni del Paese, perché al loro arrivo a Malè vengono subito prelevati e
portati a destinazione. Forse e in maniera paradossale si realizza in un certo
senso la profezia di Maometto: il paradiso è all’ombra delle
spade. Roberto Rapaccini