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• Il Passato sarà un buon rifugio, ma il Futuro è l'unico posto dove possiamo andare. (Renzo Piano) •

PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

domenica 22 novembre 2020

L’EMERGENZA TERRORISTICA NELL’EUROPA DEL XXI SECOLO (Roberto Rapaccini – Intervento al Seminario TERRORISMO DI MATRICE ISLAMICA, ASPETTI SOCIALI, POLITICI E OPERATIVI - Terni, 2 dicembre 2017)

 

Per poter meglio comprendere il mio approccio a questa problematica preciso che sono stato funzionario delle Relazioni Internazionali nel Dipartimento di PS del Ministero dell’Interno. Ho svolto le funzioni di capo delegazione italiano presso l’UE per la cooperazione di polizia e di esperto per la Commissione Europea – Direzione Generale Giustizia Affari Interni (poi DG Giustizia, Libertà e Sicurezza), occupandomi dei dossier 'Terrorismo', 'Traffico illecito di armi', e di questioni di sicurezza e di ordine pubblico. Inoltre sono stato docente per gli aspetti operativi del diritto comunitario in materia di sicurezza. Gli ultimi lustri del XX secolo e l’inizio del XXI sono stati caratterizzati da grandi cambiamenti. Con la caduta del muro di Berlino (1989) e la conseguente disgregazione del blocco sovietico, è venuto meno l'antagonista per il quale era stata costituita l'Alleanza Atlantica. Fino a quando la realtà politica mondiale si era retta sul precario equilibrio Usa-Urss (l’Europa occidentale era saldamente integrata nel fronte americano), era in atto una sorta di bilanciamento tra le due potenze fondato su un ordine bipolare caratterizzato da uno stato permanente di ostilità reciproche. La dissoluzione dell’Unione Sovietica ha rotto questo equilibrio, creando un'egemonia degli Usa rimasta di fatto l'unica reale superpotenza. L'Islam era un mondo a sé stante, di cui si accettava la diversità culturale come un fatto naturale. l'Etnocentrismo occidentale relegava l'universo arabo-islamico alla periferia del mondo. La rilevanza geopolitica degli Stati arabi era limitata ad aspetti economici e finanziari. La contrapposizione fra il mondo islamico fondamentalista e l’Occidente ha sostituito il vuoto creato dal crollo dell’Unione Sovietica, poiché l’Islam non è soltanto una religione, ma è anche un’ideologia politica. Da questa contrapposizione si sono poi sviluppati la deriva jihadista e il terrorismo di matrice islamica. A tutto questo si è aggiunta la difficile individuazione di una strategia efficace per il contrasto della pressione dei flussi migratori provenienti dall’Africa settentrionale.  Queste contingenze sono fonti di emergenze che mettono a dura prova la coesione dell’Europa. La convivenza nei Paesi occidentali con fedeli islamici è resa problematica dall’insorgenza di un pregiudizio che considera ogni musulmano un potenziale terrorista. A poco più d’una settimana dai fatti di Parigi del novembre 2015 numerose comunità islamiche hanno manifestato in diverse piazze italiane per condannare la strage. Il nome delle manifestazioni, Not in my name, deriva da una campagna lanciata dai musulmani dopo l'attentato alla redazione del settimanale francese Charlie Hebdo (gennaio 2015): Not in my name equivale a dire il mio Islam non è questo. Il XXI secolo è iniziato con il grave attentato di matrice islamica alle Twin Towers dell’11 settembre 2001. La strumentalizzazione mediatica unita a qualche latente tentazione islamofoba con un po' di approssimazione ha trasformato vicende che avvengono nelle nostre realtà urbane, nelle quali sono coinvolti elementi provenienti da Paesi islamici, in casi paradigmatici di una manifesta conflittualità fra la cultura islamica e quella occidentale, supportando così la tesi di Samuel Huntington sullo scontro di civiltà. Le Comunità Islamiche in Occidente hanno subito  un’evoluzione. Mentre negli anni ’60 i musulmani immigrati nei Paesi europei cerca­vano di integrarsi abbandonando l’abitudine di por­tare indumenti tradizionali, attualmente il ritorno all’uso del niqab, dello chador, del burqa e del qamis (la tunica maschile) non trova fondamento nell’adempimento di un dovere religioso, ma è un mezzo per rivendicare l’appartenenza a una cultura diversa e per manifestare il rifiuto dell’omologazione occidentale. Nei giovani islamici che vivono in occidente confliggono due esigenze. Da una parte la volontà di affermare l’originalità della propria individualità. Dall'altra si evidenzia la necessità di conformarsi ai canoni della società per esigenze autoconservative  e di integrazione. Questo comportamento di ritorno alle tradizioni sembrerebbe il prodotto di un conflitto generazionale, analogamente a quello che accade nelle famiglie occidentali quando i genitori non comprendono le condotte dei figli a causa di differenti abitudini ed esperienze, o di una diversa formazione culturale o religiosa. Con ‘Primavera araba’ si intende un termine di origine giornalistica utilizzato per lo più dai media occidentali per indicare una serie di proteste ed agitazioni cominciate tra la fine del 2010 e l'inizio del 2011. I Paesi maggiormente coinvolti dalle sommosse sono stati la Siria, la Libia, l'Egitto, la Tunisia, lo Yemen, l'Algeria, l'Iraq, il Bahrein, la Giordania e il Gibuti, mentre ci sono stati moti minori in Mauritania, in Arabia Saudita, in Oman, in Sudan, in Somalia, in Marocco e in Kuwait. La Primavera Araba ha avuto moventi laici, che possono essere riassunti nel diffuso malessere per una società non democratica, caratterizzata da un’inaccettabile diseguaglianza nella distribuzione delle ricchezze. Le richieste di libertà non potevano avere come modello le democrazie occidentali considerate corrotte, ma i valori dell’Islam ristabiliti nella purezza originaria. Così la Primavera Araba, pur essendosi originata da istanze laiche, è approdata a esiti fondamentalisti. Secondo il politologo S. Huntington è in atto uno scontro di civiltà. Alleanze e conflitti internazionali seguono le linee sviluppo delle grandi culture del pianeta; i conflitti non sono quindi di matrice ideologica o economica, ma hanno origine in differenti identità culturali e religiose. Oggi, conclusa la Guerra fredda, gli esseri umani non si definiscono più in base all'ideologia o al sistema economico in cui operano, ma cercano di definire la loro identità in base alla propria lingua e religione, alle proprie tradizioni e costumi. Di conseguenza la politica mondiale si sta riconfigurando secondo schemi culturali. Peraltro l’Islam non è solo una religione, ma anche un’ideologia, ovvero una realtà geopolitica. La tesi dello scontro di civiltà applicata al confronto Islam-Occidente presenta alcuni punti deboli. Innanzitutto l’Islam non è una monade unitaria ma un universo disomogeneo. Oltre alla scissione fra Sunniti e Sciiti è caratterizzato da correnti spesso in contrasto fra di loro; la Moschea di Al Azhar che è la sede della prestigiosa e autorevole  omonima Università, pur rappresentando il vertice del pensiero giuridico e teologico islamico sunnita, non è un'autorità sovraordinata e quindi non esprime posizioni ufficiali. La Lega Araba inoltre non ha mai svolto una vera leadership. Gli autori di atti criminali di matrice jihadista non sono espressione di un fronte unico contrapposto all'Occidente, ma o fanno parte di specifiche organizzazioni terroristiche - che peraltro non sempre condividono una medesima strategia -, o sono individui isolati che subiscono l’efficacia suggestionante della propaganda mediatica fondamentalista (i così detti cani sciolti lupi solitari). Le caratteristiche dei così detti cani sciolti confutano la tesi dello scontro di civiltà. Infatti se i conflitti fossero strutturali, questi individui non dovrebbero essere espressione di fenomeni isolati, ma dovrebbero essere esponenti di una realtà unitaria. Invece, o sono soggetti isolati, o sono appartenenti ad articolazioni di organizzazioni terroristiche determinate, autonome e indipendenti fra di loro; le loro motivazioni sono radicate nelle condizioni o nelle vicende personali, mentre la matrice ideologica rimane sullo sfondo. In particolare a proposito di cani sciolti o lupi solitari recentemente si è negata la loro effettiva esistenza; si tratterebbe infatti di potenziali terroristi che si attivano subendo la suggestione di una propaganda mirata. Rientrerebbero pertanto in un progetto strategico essendo parte di una rete virtuale. Dall'esame delle loro personalità è emerso che questi individui spesso sono condizionati da gravi problemi che li confinano ai margini della comunità, o sono vittime del disorientamento causato dalla mancanza di valori di riferimento. Pertanto utili strumenti di prevenzione avanzata nei loro confronti, accanto all'azione dell'intelligence, sono le politiche di integrazione, che dovrebbero neutralizzare il loro risentimento verso una società che sentono ostile o nei confronti della quale si sentono inadeguati. Con i fatti dell’11.9.2001 il terrorismo jihadista compie un’evoluzione e diviene una minaccia per il mondo occidentale. Il terrorismo jihadista è di matrice religiosa, ovvero è una forma malintesa di militanza confessionale. La fede vissuta come ideologia richiede un impegno collettivo finalizzato a cambiare con ogni mezzo le strutture della società. Il terrorismo è una 'scorciatoia' diretta a questo fine. Conseguentemente gruppi jihadisti si strutturano per promuovere con ogni mezzo l’instaurazione di un ordine sociale nel quale le leggi civili sono sostituite da un sistema giuridico plasmato sulla legge divina (la Sharia). Il Terrorismo religioso ha sempre carattere radicale, non ammette alternative alla prevalenza dell’assetto socio-politico che costituisce un corollario del credo religioso. In sintesi il terrorismo di matrice islamica consiste nell’uso della  violenza e della minaccia per instaurare un ordine ispirato ai precetti del Corano. È in atto una guerra asimmetrica: il terrorismo ha l’obiettivo di trasformare tutti i momenti di ordinaria serenità in occasioni di paura e sofferenza. Il terrorismo di matrice islamica ha delle specifiche caratteristiche. Ricorre agli attentati suicidi. Tutti sono indiscriminatamente possibili obiettivi. Pertanto la sua finalità è quella di creare un senso generale di insicurezza  e paura. per questo differisce da altre forme di terrorismo, come, ad esempio, quello chirurgico dell’Eta quando l’organizzazione era in attività. Per il contrasto della minaccia di matrice islamica non è sufficiente la coordinata risposta operativa degli apparati di intelligence e di sicurezza. La prevenzione infatti deve cessare di essere delegata  esclusivamente alle Forze di Polizia. Pertanto la prevenzione deve divenire parte della cultura collettiva, come avviene nella realtà israeliana. E’ necessario che l’Occidente ritrovi solidarietà e coesione sui valori fondanti. In conclusione un cenno sui rapporti fra multiculturalismo e flussi migratori. Come si dirà più ampiamente nella successiva relazione, si è spesso affermato che gli attentati jihadisti siano supportati da una visione radicale dell'Islam. Questa tesi viene comunemente sintetizzata con l'espressione radicalizzazione dell'islamismo. Dall'esame delle personalità degli autori delle stragi jihadiste si rileva che essi spesso sono anche ‘occidentali’ che hanno  gravi problemi personali, che li confinano ai margini della società. Questa condizione, caratterizzata anche da un vuoto ideologico, produce  una visione relativistica in un contesto di diffuso nichilismo, radicalizzando un atteggiamento critico nei confronti della società. Diversamente l'Islam nella sua interpretazione fondamentalista offre un modello che, seppur discutibile, si basa su valori definiti e solidi, e che pertanto possono esercitare una qualche seduzione su chi è alla ricerca di una identità definita per arginare il proprio senso di inadeguatezza. Questa contestazione radicale della nostra società può essere descritta come islamizzazione del radicalismo, in parziale contrapposizione alla già sopra menzionata radicalizzazione dell'islamismo. In altri termini la penetrazione della cultura islamica fondamentalista non è il risultato di una preordinata aggressione esterna, ma è la conseguenza anche di suggestioni che occupano il vuoto etico di una civiltà in decadenza. Si ricorre spesso al concetto di tolleranza. Paradossalmente la tolleranza ha delle sfumature vagamente discriminatorie. Nella pratica infatti dietro la benevolente accettazione dell’altro si cela un implicito giudizio di superiorità, di diffidenza, o addirittura di biasimo o di condanna. La convivenza dovrebbe invece essere strutturata sul riconoscimento della pari dignità dell’altro. Segnatamente in materia di immigrazione la demagogia politica, rigidamente polarizzata sui principi simmetricamente opposti dell’accoglienza generalizzata o del respingimento indiscriminato, strumentalizza le possibili derive conseguenti ai due atteggiamenti, rendendo difficili approcci costruttivi che possano conciliare i principi di civile solidarietà, con i problemi di sovraffollamento e di criminalità indotta.  L’integrazione è un dovere civile, ma ha senso qualora sia reale e non si esaurisca in affermazioni di facciata da spendere per fini politici o elettorali. I mutamenti delle condizioni di vita e i costi sociali che richiede la dimensione multiculturale devono essere tali da non alimentare una contrapposizione fra i cittadini del Paese ospitante e i nuovi arrivati. Solo tenendo presenti questi presupposti e rinunciando ad alimentare l’enfasi populista di un facile buonismo o all’opposto quella ad effetto di un’inconsistente intransigenza, le questioni connesse alla convivenza multirazziale, seppur non risolte, potranno essere affrontate seriamente. Due citazioni significative. La prima: "Si dice che al mondo ci sia tanta religione per far sì che gli uomini si odino, ma non abbastanza perché gli uomini si amino.” (dal film Angel Heart di Alan Parker). La seconda: “Alleandosi a un potere politico, la religione aumenta il suo potere su alcuni uomini, ma perde la speranza di regnare su tutti” (Alexis de Tocqueville). Grazie per la vostra qualificata attenzione!  Roberto Rapaccini