Un
saggio dell’intellettuale britannico di origine pakistana Kenan Malik qualche
anno fa ha sollevato un interessante dibattito sul multiculturalismo. Una
politica è multiculturale quando all’interno di uno stesso Paese si attribuisce
particolare spazio alle identità culturali e linguistiche di altre componenti
etniche. Su questo tema si sono solitamente contrapposte due posizioni: da una
parte si considera il multiculturalismo un potenziale attacco all’identità
nazionale, dall’altra si afferma l’opportunità di salvaguardare le diversità
che possono costituire elementi di reciproco arricchimento. In Europa in
questi ultimi anni il dibattito su questo tema si è intensificato con
l’affermarsi dell’emergenza terroristica di matrice islamica e con l’incremento
dei flussi migratori dal nord-Africa. Così il multiculturalismo si è inserito
nel più ampio dibattito sui rapporti fra Islam e Occidente. Le derive del
multiculturalismo possono in questo modo diventare un’espressione dello ‘scontro
di civiltà’ ipotizzato da Samuel Huntington nel suo celebre libro[1], dal
momento che in questa prospettiva le aperture multiculturali potrebbero
alimentare la minaccia di un’islamizzazione della civiltà occidentale,
con il rischio di dare spazio a movimenti e associazioni islamiche
violente o semplicemente ambigue o passive nei confronti dell’estremismo jihadista.
Un atteggiamento di rispetto e protezione delle istanze multiculturali
porta inevitabilmente a collocare i diversi gruppi etnici in specifici ambiti
anche normativamente circoscritti da limiti fisici e virtuali. Da questo punto
di vista il relativismo multiculturale è in antitesi con la visione
illuministica che auspica una società cosmopolita nella quale ogni differenza
fra individui è bandita per affermare la pari dignità di tutti. La visione
universalistica dell’illuminismo, contrapposta al relativismo multiculturale,
presuppone valori condivisi come l’inviolabilità della persona, l’attribuzione
ad ognuno degli stessi diritti e libertà, la parità dei sessi: il
riconoscimento di questi principi diviene pertanto la condizione perché un
gruppo etnico possa aspirare alla completa integrazione in una società
occidentale. Questa constatazione può portare a conseguenze paradossali. Il
riconoscimento della piena legittimità di altre culture, quasi sempre animato
da nobili intenzioni, può diventare infatti uno strumento potenzialmente
conservatore e antiprogressista, dal momento che alcune culture sono agli
antipodi degli ideali di uguaglianza e di libertà di derivazione illuminista su
cui si strutturano le società occidentali. In questo quadro si colloca la
recente presentazione in Belgio del Partito Islamico, che ha tra gli obiettivi
l’introduzione in Europa della Sharia. Pur partendo dal presupposto che tutte
le culture hanno pari dignità, le politiche di integrazione - che mirano
all’edificazione di una comune società di uguali - possono essere in antitesi
con i modelli multietnici, nei quali invece la comunità è staticamente
frammentata in distinti sistemi che conservano integralmente i principi e le
regole su cui si fondano e che potrebbero anche causare il proliferare di sfere
di arretratezza o che ripudiano la democrazia. Il relativismo multiculturale
può portare a casi estremi come, ad esempio, il delitto d’onore consumato ai
danni di quelle figlie che si sono sentimentalmente unite con un
‘infedele’: per i musulmani la sua uccisione è un atto dovuto, mentre è un
omicidio nelle società ispirate a valori liberali. Autonomi sistemi
culturali spesso coesistano pacificamente e si tollerano perché raramente
entrano in relazione fra di loro. La più nota esemplificazione di società
multiculturale è quella britannica. In essa tuttavia esiste una cultura
egemone, quella di cui è espressione la società inglese, mentre i valori e le
regole degli altri gruppi etnici possono avere riconoscimento solo se non
confliggno con le norme dell’ordinamento giuridico dello Stato. Nella pratica
quindi è difficilmente ipotizzabile un multiculturalismo ‘integrale’, ovvero un
sistema nel quale tutte le culture che obbediscono a regole diverse convivano
senza compromessi o reciproche concessioni o rinunce, e nello stesso tempo non
entrino in situazioni conflittuali. La libertà di parola, la libertà di fede,
la democrazia, lo Stato di diritto, diritti uguali per tutti indipendentemente
dall’etnia, dal genere o dall’orientamento sessuale definiscono la società
occidentale; non è possibile che culture differenti vivano vite separate, l’una
dall’altra, e indipendenti dalla cultura che è espressione della maggioranza.
Queste considerazioni hanno spinto recentemente molti intellettuali a prendere
atto amaramente del fallimento della multi etnicità. Tuttavia i processi
identitari hanno natura dinamica; se si i gruppi etnici sono disponibili al
confronto e al dialogo, si possono evitare le cristallizzazioni che costringono
il pluralismo a ghettizzare chi è intollerante con i tolleranti. Roberto Rapaccini
Grammatica del mondo islamico, Medio Oriente, dialogo interreligioso, interetnico e multiculturale, questioni di geopolitica, immigrazione.
domenica 22 novembre 2020
LA CRISI DEL MULTICULTURALISMO (2.5.2018)
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