Le
vicende dell’Egitto vanno seguite con attenzione: l’esperienza storica ha
spesso dimostrato che tutto quello che avviene in quel Paese, epicentro del
mondo arabo, poi si diffonde nel resto della regione. La Primavera araba, punta
avanzata della crisi dell’Islam politico, ebbe inizio in Tunisia, ma dopo la
rivolta egiziana del 2011 cominciò ad interessare con effetto domino gli altri
Stati. A fine marzo si svolgeranno le elezioni presidenziali che
porteranno con molta probabilità al conferimento di un nuovo mandato al gen.
Al-Sisi (forse sarà sufficiente il primo turno). Il leader non sembra avere
rivali: con l’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale gli sfidanti o hanno
abbandonato la candidatura spontaneamente o sono stati in qualche modo obbligati
a farlo. La società civile, dopo i disordini degli anni passati, teme una
destabilizzazione: questo timore spinge ad optare per la continuità
dell’attuale governo che, nonostante la mancanza di democrazia e le
insufficienti riforme economiche, garantisce sicurezza e stabilità.
L’affermazione di Al-Sisi viene vista con favore dai circa 8 milioni di
cristiani–copti, ovvero il 10% della popolazione. Questa minoranza, vittima di
violenti attacchi jihadisti, si sente da sempre protetta dai
regimi militari che fin dai tempi di Nasser con il loro indirizzo laico hanno
consentito alla comunità cristiano-copta di integrarsi nella vita del
Paese. Il buon rapporto fra il regime e i copti si fonda su un reciproco
riconoscimento di leadership, quella spirituale del patriarca e quella politica
del presidente. Per questo presumibilmente i copti appoggeranno la rielezione
di Al-Sisi. Roberto Rapaccini