L’omicidio a Macerata di una ragazza tossicodipendente ha dato spazio
nei mass media alla preoccupante presenza sul nostro
territorio di gruppi di presunti appartenenti alla mafia nigeriana. Il fenomeno
non è recente. Da anni questa consorteria ha superato i confini africani per
gestire in Paesi europei ed extraeuropei attività collegate allo sfruttamento
della prostituzione, all’immigrazione clandestina, al narcotraffico,
costituendo una delle più pericolose reti delinquenziali del mondo. La mafia
nigeriana è un sistema, non un’unica struttura: è caratterizzata da singole
bande reciprocamente indipendenti o specializzate in segmenti di un’attività
criminale. Come analoghe organizzazioni, la mafia nigeriana si avvale di
rituali esoterici per l’affiliazione di nuovi elementi e per imprimere ai
delitti un marchio di appartenenza. È noto che dopo la consumazione di alcuni
omicidi i corpi sono stati smembrati e sono seguiti atti di cannibalismo (soprattutto
relativi ad organi, in particolare cuore e fegato, ritenuti fonti di coraggio
ed energia) con finalità magiche e propiziatorie. La ritualità mafiosa – il cui
valore simbolico è particolarmente utile per impressionare persone di bassa
cultura meno sensibili alla comunicazione dialettica - serve a rafforzare i
vincoli associativi fra gli affiliati che, in questo modo, si sentono
destinatari del privilegio di far parte di una comunità di iniziati. La
ritualità delle mafie generalmente si ispira al contesto etnico-culturale di
provenienza. Pertanto, come la mafia italiana si avvale del presunto avallo di
una malintesa religiosità cristiana (con uso di santini in cerimoniali nei quali
sacro e profano si contaminano reciprocamente), così la mafia nigeriana fa
ricorso a riti voodo e a superstizioni tribali, che in alcuni
reati, come la tratta di esseri umani, esercitano anche una potente suggestione
sulle vittime, strumentale al loro assoggettamento. Roberto Rapaccini