Il
29 novembre si celebra la Giornata internazionale di solidarietà con il popolo
palestinese. Il pensiero corre a Gerusalemme, che sta vivendo tempi difficili.
Gerusalemme è la capitale più emozionante e più carica di significati
culturali, storici, e spirituali che ho avuto il privilegio di conoscere. Era
il 1991 e provenivo da Amman, da un Paese, la Giordania, che in quel periodo
era in guerra con Israele. Attraversato il confine ad Allenby Bridge, allora
fronte bellico, dopo le tensioni del viaggio, giunto a Gerusalemme, mi trovai
immerso in un’oasi di pace e di serenità, e al centro di una memoria evocativa
che al mio sguardo riprendeva improvvisamente vita. Potevo passeggiare
liberamente e anche di sera dal Muro del Pianto al Santo Sepolcro, e da qui
alla Spianata delle Moschee. C’era ancora l’atmosfera della gestione illuminata
del sindaco Theodor Kollek, che nel 1976 ordinò di rimuovere una barriera di
pietra che divideva la città; Teddy Kollek, apprezzato anche dalla comunità
palestinese, amava dire che Gerusalemme è migliore unita piuttosto che divisa.
Quel periodo è lontano. Dopo pochi mesi dal mio soggiorno venne commesso un
grave attentato al mercato della città vecchia, dove io passavo quotidianamente
soffermandomi. Per Gerusalemme, fino ad allora protetta dalla sua sacralità
simbolica, iniziò una sovraesposizione segnata da un’escalation di
violenze. Forse la centralità geopolitica del conflitto fra ebrei e palestinesi
è la causa delle difficoltà a trovare una soluzione pragmatica. L’attenzione
mondiale ha infatti trasformato questo scontro in una contrapposizione
simbolica ed identitaria. Roberto Rapaccini