Recentemente
Gaza è stata teatro di proteste represse con violenza dall’esercito
israeliano. Dopo la Prima Guerra Mondiale Gaza divenne oggetto del mandato
britannico insieme alla Palestina. Nel ‘48 con la Cisgiordania passò sotto
l’amministrazione egiziana per poi tornare israeliana con la guerra dei sei
giorni nel ‘67. Con il Trattato di pace del ‘79 con l’Egitto gli israeliani restituirono
il Sinai ma non Gaza, essendo ivi cominciati gli insediamenti coloniali. Con le
intese di Oslo del ’93 Israele riconobbe a Gaza il diritto di
autogovernarsi: il leader palestinese Arafat stabilì in Gaza
City il centro politico della regione. Nel 2005 Israele decise
l’evacuazione degli ebrei dalla Striscia di Gaza; ne mantenne il controllo dei
confini marittimi. L’economia della Striscia da allora è condizionata dal
blocco israeliano delle sue frontiere terrestri e marittime. Nel 2006 esponenti
politici legati ad Hamas vinsero le elezioni palestinesi e si insediarono
a Gaza. L’ascesa di Hamas forse fu favorita anche dai servizi di sicurezza
israeliani che avevano intuito che il fondamentalista Hamas, per le sue
posizioni radicali, sarebbe entrato in contrasto con il laico e moderato Al
Fatah. Gli israeliani non avevano previsto che Hamas sarebbe diventata una
grave minaccia. A seguito della politica dell’attuale governo israeliano sono
ripresi gli scontri a Gaza. Le voci critiche ‘interne’ sulla repressione
militare fanno ritenere che queste iniziative non corrispondano alle scelte
della nazione israeliana ma abbiano il loro fondamento nelle opzioni di un
governo che sta riportando il Paese nell’isolamento politico mentre sarebbe
maturo il suo pieno ingresso nella comunità internazionale. Roberto Rapaccini