RASSEGNA STAMPA S.

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PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

venerdì 2 ottobre 2020

IL CONFLITTO FRA ISRAELIANI E PALESTINESI (10.1.2017)

 Premessa

La questione palestinese nel contesto degli equilibri mediorientali è sempre al centro dell’attenzione mondiale. Siamo ormai abituati a convivere con la convinzione che non sia possibile un accordo che ponga fine alla contesa fra Israeliani e Palestinesi, una patologia geopolitica che ormai è diventata fisiologica. Le attività di mediazione di Paesi terzi o di organizzazioni internazionali si scontrano con la difficoltà concreta di trovare soluzioni che abbiano le potenzialità per assicurare un assetto equo dei rispettivi interessi.

Le due tesi

Da un punto di vista politicamente neutro le motivazioni addotte dagli Israeliani e dai Palestinesi appaiono ugualmente meritevoli di considerazione: da una parte gli Ebrei rivendicano la regione dalla quale sono stati storicamente cacciati, dall’altra i Palestinesi reclamano i territori che hanno perso a seguito della nascita di Israele. L’assetto stabilito dalla Risoluzione dell’Onu n. 181 del 1947, denominata Piano di partizione della Palestina[i], ebbe un’attuazione solo parziale in quanto determinò esclusivamente la nascita di Israele, i cui confini sono stati poi modificati dalle successive note vicende belliche, che hanno generato una escalation senza ritorno: come disse Shimon Peres con un’efficace metafora, con le uova si può fare una frittata, ma dalla frittata non si può tornare alle uova[ii]. Si evince da quanto premesso che questo conflitto non ha natura religiosa, come in qualche occasione è stato erroneamente ritenuto, ma si fonda solo su pretese territoriali che in concreto hanno (e continuano ad avere) come corollario la gestione della difficile convivenza fra Arabi e Israeliani. Segnatamente vi è incertezza sulle frontiere che dovrebbero delimitare i territori sotto la giurisdizione di Israele e sullo status da conferire alla Palestina. Gli Israeliani cercano di far prevalere le loro mire espansionistiche attraverso l’occupazione di territori (con modalità militari o mediante insediamenti), mentre la resistenza palestinese si avvale, come strumento di intimidazione, dell’azione terroristica di gruppi armati. In proposito le opzioni strategiche dei leader palestinesi sono state sempre più impegnate a danneggiare Israele piuttosto che a porre positivamente le premesse per una reale indipendenza.

Il difficile cammino verso una pace ‘giusta’

La comune aspirazione ad una pace giusta sembra insidiata dalla difficoltà di fissare i contenuti di una composizione degli interessi contrapposti ritenuta equa da entrambe le etnie. Ragionando in termini pragmatici, che sia ritenuta giusta o meno, l’unica soluzione possibile consiste nella coesistenza di due Stati, ovvero nella creazione di uno Stato palestinese accanto a quello a maggioranza ebraica: tuttavia, l’istituzione dello Stato palestinese impone ad Israele la rinuncia ai territori occupati e a parte della giurisdizione su Gerusalemme (in particolare sulla città vecchia e sulla spianata delle moschee). Non si tratta di richieste che possano essere facilmente accettate dalle frange più nazionaliste e conservatrici della società israeliana. La costituzione di uno Stato palestinese - che ha come presupposto il ritiro di Israele dai territori occupati – è anche nell’interesse dei cittadini israeliani, stanchi di vivere perennemente sotto assedio e desiderosi di offrire un sereno futuro di pace ai propri figli. Come è noto, i punti di vista delle due etnie sono molto distanti circa le valutazioni relative alla creazione dello Stato palestinese. Questa è sicuramente in concreto l’unica alternativa possibile ad una condizione di eterna belligeranza. Ovviamente, intrapresa questa opzione, non sarà facile fissare i contenuti dell’accordo. Come spesso accade in queste circostanze, uno degli ostacoli con il quale dovranno misurarsi le rispettive diplomazie consisterà nel far accettare i sacrifici imposti dalla composizione della vertenza alla propria base popolare, sempre particolarmente attenta e sensibile, anche in maniera irrazionale, a qualsiasi imposizione che comporti una rinuncia di sovranità. In questo tipo di contingenze può essere più difficile trovare un’intesa con la propria base popolare, piuttosto che con la controparte. La realtà israeliana non è monoliticamente e aprioristicamente antiaraba, come erroneamente si è tentati di ritenere, ma è caratterizzata da diversificate componenti che si contrappongono in un animato, vivace e articolato dibattito democratico. In proposito attualmente si nota una frattura fra le istituzioni governative e la gente comune. Mentre alcune componenti politiche persistono nel mantenere una linea rigida che rifiuta compromessi, la maggior parte degli Israeliani è provata dalla precarietà. Si percepiscono segnali, che provengono dalla società civile, che sono espressione del desiderio di una pacifica convivenza interetnica e interreligiosa. Alcuni esempi. A pochi chilometri da Abu Gosh, ritenuto il luogo nel quale 6000 anni fa venne depositata l’Arca dell’Alleanza, e sulla via per Emmaus, il villaggio in cui Cristo si rivelò dopo la Resurrezione, sta sorgendo Saxum, un centro residenziale e multimediale, nel quale saranno ospitati fedeli di tutte le religioni per una comune esperienza spirituale[iii]. È particolarmente significativo che all’edificazione del centro partecipino, lavorando in armonia fianco a fianco, Ebrei e Arabi, Musulmani e Cristiani. A pochi chilometri dal muro che divide Gerusalemme da Betlemme si trova l’ospedale pediatrico ‘Caritas Baby’, che ha accettato la sfida e l’impegno di curare tutti i bambini, senza differenze fra Ebrei e Palestinesi[iv]. Potrebbe sembrare normale prestare assistenza a malati non tenendo conto dell’appartenenza etnica o religiosa, ma non lo è in questa terra dilaniata dall’odio. Le attività sanitarie dell’ospedale, compreso il pagamento mensile dei salari, sono sostenute dalla generosità di singoli cittadini e da quella di associazioni e organizzazioni anche di altri Paesi. In questa prospettiva di pace sta assumendo un’importanza centrale l’Associazione SISO (Save Israel - Stop the Occupation).

Il movimento SISO

SISO è un movimento di recente costituzione (è stato fondato nel 2015) che intende favorire con mirate iniziative una soluzione negoziata del conflitto in Israele fra Ebrei e Palestinesi. SISO afferma il carattere prioritario del ritiro di Israele dai territori occupati ed auspica la costituzione di uno Stato palestinese. Questa posizione, poiché potrebbe sembrare il corollario di un’opzione filo-araba o filo-palestinese, è ancora minoritaria nell’ambito dell’opinione pubblica israeliana. In realtà, gli obiettivi del movimento non sono motivati da scelte di carattere politico, ma esclusivamente da una visione pragmatica della situazione. I tempi sono maturi per il generale riconoscimento di Israele da parte di tutta la comunità internazionale. La piena legittimità di Israele è tuttavia condizionata dalle evoluzioni della questione palestinese, che influiscono di fatto anche sulla normalizzazione della società civile israeliana. Per questo il movimento SISO ritiene che l’unica soluzione concreta in grado di porre fine alla controversia interetnica e territoriale sia la costituzione di uno Stato indipendente che assicuri l’autodeterminazione del popolo palestinese. Questa prospettiva sarebbe sia nell’interesse dei Palestinesi, sia in quello degli Ebrei, che, come detto in precedenza, finalmente potrebbero aspirare ad un futuro di pace in un contesto di sicurezza, democrazia e prosperità. Inoltre questo nuovo assetto politico e territoriale influirebbe positivamente sulla considerazione in ambito internazionale di Israele, che, con il ritiro dai territori palestinesi, sarebbe meno controversa. Il movimento - che si avvale del supporto anche di molte personalità israeliane, dal mondo scientifico a quello della cultura - intende articolare la propria azione su due direttive: oltre a promuovere proprie iniziative mediante tutte le potenzialità mediatiche, si propone come centro di coordinamento e di raccordo delle attività dei gruppi che operano per gli stessi obiettivi, ovvero per una svolta pacifica del conflitto israelo - palestinese. Recentemente il movimento SISO ha diffuso un appello di 500 personalità israeliane (intellettuali, politici, diplomatici, scienziati, attivisti per la pace). Fra di essi vi sono gli scrittori David Grossman, Amos Oz e Orly Castel Bloom, la cantante Noa, il regista Amos Gitai, gli intellettuali Naomi Chazan e Daniel Bar Tal, l’ex-leader laburista ed ex-generale Amram Mitzna, l’ex-deputata ed ex-vicesindaco di Tel Aviv Yael Dayan, il Premio Nobel Daniel Kahneman. L’appello si rivolge agli Ebrei di tutto il mondo affinché, solidarizzando con gli Israeliani, intraprendano un’azione coordinata che ponga fine alla politica dell’occupazione dei territori. L’appello va nella direzione opposta dei piani rigidi e intransigenti del governo israeliano. L’approccio istituzionale alla questione palestinese non coincide con il comune sentire della base popolare. Dai sondaggi e dalle analisi della stampa che hanno preceduto le elezioni del 2009 dalle quali è emerso il successo del leader Netanyahu, si evince che la ‘non prevista’ vittoria del Likud è stata motivata dal timore degli Israeliani per le incertezze di un eventuale cambiamento della consolidata linea politica piuttosto che da un reale convincimento circa l’opportunità di sostenere desueti propositi conservatori. Naturalmente la realizzazione delle prospettive di pace richiede la cooperazione dei Palestinesi, che devono uscire dal tunnel dell’odio indiscriminato nei confronti di Israele. Le iniziative di SISO stimolano un dibattito sul futuro di Israele libero da posizioni preconcette: nell’incipit dell’appello di cui si è accennato in precedenza si legge ...se ti interessa Israele, il silenzio non è più un’opzione. Secondo il punto di vista del movimento SISO, come in passato la solidarietà degli Ebrei ha consentito la nascita e lo sviluppo di uno Stato ebraico, oggi l’alleanza fra gli Ebrei-israeliani e quelli della diaspora potrà costituire uno strumento adeguato a consentire ad Israele di ritrovare la sua anima democratica, riaffermare con coerenza i suoi fondamenti morali. Come ulteriore conseguenza presumibilmente cesseranno i pregiudizi della comunità internazionale e avrà termine l’impatto negativo sull’opinione pubblica interna e straniera, alimentato dal perdurare del conflitto con i Palestinesi.

Il carattere irrisolto del conflitto fra Arabi e Palestinesi

Come sostiene il professor Daniel Bar-Tal[v], i contrasti fra Ebrei e Palestinesi appartengono alla categoria dei conflitti irrisolti. Questa tipologia è integrata da contrapposizioni che hanno un carattere radicale in quanto ciascuna parte percepisce i propri interessi del tutto incompatibili e inconciliabili con quelli della controparte; conseguentemente le soggettività politiche che sono referenti delle collettività contrapposte non sono disponibili a compromessi[vi]. Queste premesse spiegano il carattere permanente di certi scontri e l’oggettiva difficoltà di trovare soluzioni che possano essere accettate dalle rispettive comunità. Spesso i conflitti irrisolti per il loro carattere politico travalicano i confini locali e possono esercitare effetti destabilizzanti a livello internazionale. Il confronto fra Israeliani e Palestinesi non può essere ricondotto solo ad un contrasto fra diverse confessioni, cioè fra Ebrei e Musulmani, né a una guerra fra due popoli. Questo conflitto al contrario ha una natura estremamente composita e complessa, in quanto in esso, oltre a componenti di carattere religioso ed etnico, confluiscono elementi che incidono su equilibri geopolitici, mondiali e regionali. Per le implicazioni transnazionali la soluzione di questo conflitto va oltre la mera riconciliazione tra i due popoli. Le trattative fra Israeliani e Palestinesi hanno sempre avuto la peculiarità di un dialogo fra sordi. Per Hamas, l’organizzazione estremista politico-religiosa palestinese, gli attacchi terroristici contro Israele sarebbero una modalità necessaria per difendere i propri territori dall’aggressione sionista. Al contrario Israele rivendica il diritto di occupare nuovi territori per insediare comunità; questi intenti espansionistici sarebbero motivati da una carenza abitativa. Analogamente Israeliani e Palestinesi rivendicano per opposti motivi la legittimità delle loro pretese di sovranità su Gerusalemme. Quest’ultima ambizione ha anche una matrice religiosa: Gerusalemme infatti è la terza città sacra dell’Islam dopo La Mecca e Medina[vii], mentre il nome della metropoli in ebraico significa letteralmente il luogo dove apparirà il Messia[viii]. Le scelte strategiche di Israeliani e Palestinesi, oltre ad avere margini di illegalità, si traducono in concreti ostacoli a prospettive di pace. C’è una chiara asimmetria fra gli attori dei negoziati. Israele è uno Stato moderno e solido; il popolo palestinese non ha invece una chiara soggettività politica, né un esercito regolare; con difficoltà individua una leadership pienamente rappresentativa e plenipotenziaria. La propaganda interna delle due parti, già a cominciare dai testi scolastici, demonizza il ‘nemico’ descrivendolo come un interlocutore crudele, sanguinario, e soprattutto disinteressato ad una composizione pacifica della vertenza. A causa di quest’ottica negativa e deviata, nell’immaginario collettivo degli Israeliani tutti i Palestinesi sono terroristi, mentre in quello dei Palestinesi tutti gli Israeliani sono oppressori e usurpatori. Fortunatamente non mancano su entrambi i fronti personalità moderate che auspicano la tolleranza e l’accettazione dell’altro. Sia la società israeliana che quella palestinese hanno molti problemi interni, che rendono difficile la definizione di una propria identità condivisa da tutte le componenti nazionali: l’esistenza di un nemico esterno, come avviene frequentemente in casi analoghi, distoglie da questi problemi e unifica il sentimento nazionale. C’è ancora una lunga strada da fare. Gli approfondimenti e le analisi degli studiosi sugli aspetti che rendono irrisolto (o intractable, come dicono gli inglesi con un’espressione più pragmatica) il conflitto fra Israeliani e Palestinesi non sono una mera speculazione o un contributo intellettuale alla democrazia israeliana, ma hanno importanti risvolti pratici, in quanto sono finalizzati all’individuazione delle barriere socio-psicologiche che impediscono ad Israele di intraprendere un cammino di pace. Essere consapevoli di questi ostacoli è il presupposto per il loro superamento e per l’individuazione di azioni concrete la cui attuazione potrà essere congiuntamente concertata in un eventuale tavolo negoziale. In proposito, Shimon Peres amava dire: “...non è vero che non c’è luce in fondo al tunnel in Medio Oriente. Tutt’altro, la luce c’è. Il problema è che non c’è il tunnel…”.



[i] Il 29 novembre 1947 il Piano di partizione della Palestina elaborato dallo United Nations Special Committee on Palestine fu approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a New York Il 29 novembre 1947 con la Risoluzione n. 181 dell’Assemblea Generale. Il Piano, proponeva la partizione del territorio palestinese fra due istituendi Stati, uno ebraico, l’altro arabo, con Gerusalemme sotto controllo internazionale. Il rifiuto dei Paesi arabi del Piano e il deterioramento delle relazioni fra Ebrei e Arabi in Palestina furono le cause della Guerra arabo-israeliana del 1948-1949.

[ii] Shimon Peres (Višneva, 2 agosto 1923 – Ramat Gan, 28 settembre 2016) è stato un politico israeliano di origini polacche, Presidente di Israele dal 2007 al 2014. Esponente di primo piano del Partito Laburista, del quale è stato leader ininterrottamente dal 1977 al 1992 e successivamente a più riprese sino al 2005; sin dagli anni settanta ha assunto diversi incarichi di rilievo in seno alle istituzioni di Israele; in particolare è stato primo ministro nei periodi 1984-1986 e 1995-1996, nonché ministro degli Esteri (1986-1988, 1992-1995 e 2001-2002), ministro della difesa, ministro dei trasporti e ministro delle finanze. Nel 1994 a Peres è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace insieme a Yitzhak Rabin e Yasser Arafat in relazione al processo di pace che ha portato agli Accordi di Oslo. Nel 2005 è diventato vicepremier nel governo di Ariel Sharon. Divenne presidente d’Israele il 13 giugno 2007 (fino al luglio 2014).

[iii] Più precisamente il progetto ha l’obiettivo di accogliere e ‘formare’ pellegrini e studenti che, da tutto il mondo, vengono a visitare la Terrasanta.

[iv] L’ospedale si trova proprio sulla strada che porta da Gerusalemme alla Chiesa della Natività di Betlemme, ad appena 200 metri di distanza dal checkpoint israeliano, sul lato palestinese.

[v] Il prof. Daniel Bar-Tal è docente emerito di Psicologia politica all’Università di Tel Aviv. Dal 2000 al 2005 è stato direttore dell’Istituto di ricerca Walter Lebach per la coesistenza tra arabi e ebrei attraverso l’educazione; dal 2001 al 2005 è stato condirettore del Palestine Israel Journal; dal 1999 al 2000 è stato presidente della Società Internazionale di Psicologia della Politica.

[vi] Israele e l’Olp fin dagli anni ’90 hanno stretto alcuni accordi nel tentativo di comporre in modo pacifico i contrastanti interessi dei due popoli ma gli estremisti di entrambe le parti hanno considerato i progetti di queste intese un cedimento all’avversario e con la violenza ne hanno impedito l‘applicazione.

[vii] La parte di Gerusalemme sacra ai musulmani è la Spianata delle Moschee, che si trova all’interno della cosiddetta ‘città vecchia’ di Gerusalemme. Oltre alla moschea di al Aqsa l’edificio più importante è la cosiddetta Cupola della Roccia, costruita nel luogo dove secondo l’Islam il profeta Maometto salì in cielo.

[viii] Più precisamente Gerusalemme è contesa da Israeliani e Arabi-palestinesi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Gli Ebrei affermano di averla fondata e averci costruito il luogo più sacro per l’ebraismo, il Tempio di Salomone, di cui oggi rimane il così detto Muro del Pianto. Gli Arabi-palestinesi hanno abitato Gerusalemme per secoli, e hanno costruito la Cupola della Roccia, cioè quella cupola d’oro che svetta guardando Gerusalemme da lontano. La Cupola della Roccia e la vicina moschea di al Aqsa si trovano sulla cosiddetta “Spianata delle Moschee”.