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PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

venerdì 25 settembre 2020

LA MINACCIA TERRORISTICA DI MATRICE ISLAMICA (10.9.2015)

Premessa

Nel periodo in cui ho lavorato a Bruxelles presso la Commissione Europea in qualità di esperto nazionale distaccato ho seguito gli aspetti internazionali della cooperazione di polizia e ho prestato servizio in una struttura che si occupava anche delle strategie comunitarie per il contrasto al terrorismo[i]. Come già detto nel capitolo precedente, fino al 2000 il terrorismo era percepito in Europa come un’emergenza esclusivamente nazionale. In particolare, la Spagna si trovava a fronteggiare il terrorismo autonomista basco, mentre il Regno Unito era impegnato nelle problematiche di ordine pubblico dell’Irlanda del Nord. Il terrorismo di matrice islamica, già attentamente seguito negli Stati Uniti, non era considerato in Europa una questione di rilevanza comunitaria. Le iniziative dell’Unione europea si esaurivano nel monitorare le situazioni nazionali degli Stati Membri. L’attacco agli USA nel settembre del 2001[ii] ha evidenziato che il terrorismo di matrice islamica costituiva una minaccia di primaria importanza per tutto il mondo occidentale, Europa compresa[iii], come poi i tragici attentati di Madrid nel 2004[iv] e di Londra nel 2005[v] hanno drammaticamente dimostrato. L’approccio dell’intelligence nei confronti del terrorismo è diverso da quello verso la criminalità organizzata. Anche quest’ultima per essere efficacemente contrastata deve essere oggetto di esame e di studio. Tuttavia si deve considerare che i fenomeni eversivi sono il prodotto sbagliato di una ideologia, e quindi per la loro prevenzione e repressione il momento dell’analisi è di prioritaria importanza; l’analisi per essere efficace richiede un approccio globale, prudente ed equilibrato. In proposito, la società islamica è permeata da una religione particolarmente invasiva che esprime un’istanza di radicale trasformazione delle istituzioni in senso confessionale: pertanto, anche se Islam e terrorismo non possono essere considerate entità direttamente correlate fra loro, tuttavia si rileva che la fede musulmana persegue un progetto politico che può costituire un facile terreno per l’insorgere di manifestazioni violente. Va precisato preliminarmente che, nell’analizzare il reale atteggia­mento dell’Islam nei confronti dell’Occidente, una difficoltà in cui ci si imbatte è costituita dal suo carattere disomogeneo. La religione islamica infatti non può essere considerata una monade dai tratti definiti, in quanto si articola in molte confessioni che assumono posizioni spesso divergenti fra di loro[vi].

Jihad

Il terrorismo di matrice islamica costituisce un modo per attuare il Jihad (per analogia con la lingua araba nella traduzione italiana si preferisce dare alla parola il genere maschile)[vii]. Il termine viene spesso tradotto ‘guerra santa’ intendendo con esso il ricorso collettivo alla violenza per la sottomissione degli infedeli. In realtà, il termine jihad nell’arabo standard significa genericamente massimo sforzo ed è seguito spesso dall’espressione fi sabil Allah, cioè lungo il sentiero di Dio; pertanto, con la locuzione

dovrebbe rettamente intendersi la lotta interiore e individuale che il fedele sostiene in ogni momento della vita per predisporsi alla comprensione dei misteri divini e per resistere alle pulsioni estranee o contrarie alla morale religiosa. Peraltro guerra santa in arabo non si dice jihad ma al Harb al Qdsiyah. Se si attribuisce al termine jihad il significato di una mobilitazione collettiva per la difesa dell’Islam, con la fine del Califfato[viii] nel 1924 si è posto il problema di quale autorità, in quanto guida della comunità musulmana, potesse dichiarare in futuro questa ‘chiamata alle armi’[ix]. In assenza di un califfo, solo i leader musulmani potevano essere depositari di questo potere; restava però problematica l’individuazione concreta di quale politico potesse essere considerato un primus inter pares. Scavalcando l’autorità politica degli Stati musulmani o quella dei capi religiosi, Al Qaeda prima e poi l’Isis successivamente si sono attribuiti il potere di proclamare il jihad contro i governi giudicati anti-islamici, filo-occidentali o semplicemente corrotti e miscredenti; le loro iniziative terroristiche non avevano finalità localistiche (cioè strategicamente limitate all’impatto nel contesto regionale nel quale venivano compiute), ma si proclamavano strumento di un progetto geopolitico più ampio. La maggior parte delle altre aggregazioni terroristiche di matrice islamica invece perseguiva fini limitati al territorio in cui operava.

Euro-jihadisti

Per Euro-jihadisti si intendono i neoconvertiti di nazionalità occidentale, nonché i così detti homegrown, gli immigrati di seconda generazione, cioè quelli nati e cresciuti in Occidente. In proposito, da riscontri statistici è risultato che nelle attività finalizzate al loro proselitismo sono irrilevanti le classi sociali di appartenenza: alcune ricerche sociologiche hanno evidenziato infatti la falsità del luogo comune secondo il quale il terrorista sarebbe indigente o proveniente da classi disagiate. Al contrario alcuni responsabili di azioni criminose di matrice islamica avevano completato gli studi universitari, mentre altri avevano un lavoro fisso, in alcuni casi anche di buon livello. In passato l’arruolamento di potenziali terroristi generalmente iniziava attraverso l’avvicinamento al radicalismo islamico che avveniva in seno all’ambiente familiare o mediante amici. Se il giovane si mostrava sensibile, si cercavano di rafforzare le sue determinazioni al fine di farne un mujaheddin, cioè un combattente jihadista. L’ambiente privilegiato per queste iniziative era la moschea, che non è solo un luogo di culto, ma anche un contesto nel quale a livello locale si articola una parte significativa della vita sociale. Qui si svolgono eventi conviviali e si rinsaldano i sentimenti di solidarietà fra Musulmani. La visione integralista - generalmente di tipo salafita[x] - costituiva un terreno fertile nel quale soprattutto nei giovani maturava il convincimento dell’esistenza di un dovere di andare a combattere in Siria o in Iraq per sostenere lo Stato islamico, punta esponenziale del jihad globale. A questa fase di avvicinamento alla strategia jihadista seguiva il contatto diretto con un membro attivo dell’eversione per dare seguito alle aspirazioni del neo-affiliato fornendogli anche il necessario supporto materiale. Questa pratica divenne più difficoltosa a seguito delle attività preventive dell’intelligence. Ha assunto nel frattempo maggiore rilievo la propaganda sul web di predicatori particolarmente carismatici. Più precisamente il contatto diretto con esponenti dell’integralismo probabilmente continua ad avvenire anche nelle moschee o in ambienti collegati, ma i siti web e i social network assicurano più efficacemente la promozione del radicalismo. Il ricorso ad Internet è particolarmente diretto ai giovanissimi. I siti sono preparati molto accuratamente, con video ed immagini finalizzati a suscitare il rifiuto della cultura occidentale, traditrice e infedele, e a considerare la guerra a sostegno dei fratelli islamici in difficoltà un obbligo per il vero credente. Il reclutamento di jihadisti non è mai stato un fenomeno di massa, ma è sempre stato diretto a quei giovani particolarmente disorientati dal relativismo dominante. L’Isis con il suo efficace apparato propagandistico forniva come alternativa alle criticità della società occidentale motivazioni strutturate su principi saldi - che erano il precipitato di una effimera propensione alla facile e banale certezza - e l’inserimento in un gruppo coeso dalla fede.

La genesi della minaccia fondamentalista

L’attualità ci ha abituato a considerare fisiologico il confronto politico con i Paesi islamici. In realtà questa situazione ha un’origine recente. Fino agli anni ‘70 infatti la cultura musulmana era oggetto di attenzione solo per gli studiosi della materia, mentre la maggior parte delle persone, immersa nel proprio etnocentrismo, guardava con distacco e con superficiale curiosità a quel mondo caratterizzato da consuetudini così diverse dalle nostre; il loro interesse si concentrava esclusivamente sulle apparenze, sulle sovrastrutture, sugli aspetti esotici. L’Islam in quei tempi non aveva una valenza politica; nella Turchia fin dai tempi di Kemal Ataturk, e nell’Iran governato dalla famiglia Palhevi erano in atto processi di modernizzazione e di occidentalizzazione, mentre nei Paesi arabi, a cominciare dall’Egitto di Nasser, si affermava un socialismo di stampo laico. La situazione è cambiata nel 1979 con la Rivoluzione di Khomeini in Iran: cominciava a maturare la convinzione che poteva essere elaborata una via musulmana al futuro, che non coincideva con un ritorno al passato. Da allora la contrapposizione che si andava delineando fra il mondo islamico fondamentalista e l’Occidente sostituiva il vuoto creato dal recente crollo dell’Unione Sovietica. Divennero familiari termini come jihad. Da allora l’Islam si cominciò ad affermare come realtà geopolitica contrapposta ad un Occidente definito cristiano dalla propaganda fondamentalista, ma nella sostanza agnostico. I Paesi islamici uscivano da una pregressa eclisse del sacro. Questo cambiamento epocale, malinteso, è stato terreno fertile per la genesi della minaccia fondamentalista e terrorista di matrice islamica.

Programma nucleare iraniano

L’accordo firmato nel luglio 2015 dopo lunghe trattative fra i cosiddetti 5 + 1 (ovvero i Paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu + la Germania, mandatari della comunità internazionale) e l’Iran ebbe una grande portata storica. L’Iran in diverse occasioni si è mostrato attivo nell’intraprendere iniziative destabilizzanti nella regione mediorientale: ha sostenuto il regime di Assad in Siria, gli Hezbollah in Libano, Hamas nella Striscia di Gaza, mentre ha supportato i ribelli Houthi nello Yemen. L’integrazione dell’Iran nel contesto geopolitico internazionale avrebbe potuto contribuire a rendere molto difficile il perpetuarsi di queste iniziative. L’intesa sul nucleare ebbe come oggetto principale il controllo del programma nucleare iraniano: in concreto enti tecnici internazionali indipendenti sarebbero stati messi nella condizione di verificare che le relative attività – cioè quelle attuative del programma – fossero rivolte a scopi civili; come contropartita era prevista la rimozione delle sanzioni che gravano sullo Stato persiano fin dai tempi di Khomeini. L’intesa aveva un valore che andava ben oltre le leggi della finanza. L’Iran usciva dall’isolamento nel quale lo avevano relegato l’embargo in atto e l’interruzione delle relazioni commerciali, per tornare ad essere un interlocutore dell’Occidente. Si trattava di una grande novità anche perchè l’Iran poteva essere in prospettiva quell’alleato strategico nel mondo islamico di cui l’Occidente aveva un bisogno vitale. La sua adesione all’Islam di tipo sciita lo rendeva un partner affidabile per contrastare il fondamentalismo sunnita e le ambiguità del mondo musulmano wahabita[xi], i cui atteggiamenti di condanna della violenza jihadista spesso non corrispondevano ai fatti: componenti delle monarchie del Golfo sono sempre state molto attive nel fornire un supporto, anche economico, al fondamentalismo radicato in Europa, che aveva la sua punta esponenziale nello Stato Islamico. Inoltre il governo della Repubblica islamica iraniana appariva so­lido, moderato e riformista, e sembrava riprendere in considera­zione i progressi nel campo delle libertà civili che furono obiettivi del passato leader Khatami, che con la sua ascesa fece pensare all’avvento di una possibile primavera iraniana, abortita con l’a­scesa di Ahmadinejad. La popolazione persiana nella sostanza è secolarizzata e conserva un substrato culturale occidentale. Tuttavia non si deve dimenticare che la complessa architettura a doppio binario del Paese prevede al governo, oltre ad un vertice civile, un capo religioso, che è espressione di uno spirito conservatore teocratico che costituisce un reale freno al progresso. Israele - che ha sempre considerato l’Iran una minaccia dal punto di vista militare - valutava questo accordo un grave errore.Tuttavia i tempi erano maturi per la stabilizzazione e la normalizzazione delle relazioni di Israele con il mondo arabo attraverso l’implementazione degli accordi di Oslo. In proposito Barack Obama, destinatario di un premio Nobel per la pace assegnato ‘a scatola chiusa’, ha avuto il merito di aver portato a termine questo progetto nell’ostilità manifesta di Israele e in quella meno apparente delle tradizionali alleate monarchie saudite che temevano l’ascesa della potenza iraniana nella regione medio-orientale. Il successore di Barak Obama, Donald Trump, animato da opposte valutazioni, ha deciso di ritirare la sua amministrazione dall’accordo al fine di ripristinare la situazione preesistente.

Evoluzioni successive

Nel giugno del 2014 Abu Bakr al-Baghdadi, noto come lo sceicco invisibile e guida dell’ISIS, un’organizzazione terrorista di stampo jihadista attiva nella regione medio-orientale, dichiarò l’istituzione di un califfato - denominato Stato Islamico - nei territori occupati di Siria e Iraq, con lo scopo di estendere successivamente la propria autorità su tutte le terre abitate dai Musulmani. I rapporti tra ISIS e Al Qaeda non erano chiari: si parlò allora sia di una rivalità nella leadership del jihadismo globale - anche in relazione ad una diversa visione strategica[xii] - sia di alleanza o, più precisamente, di una loro possibile fusione, con l’esito devastante e infausto di un Occidente assediato dalla minaccia di attentatori islamisti. Gli atti terroristici imputabili alla matrice jihadista cominciarono ad essere realizzati anche da cellule indipendenti che si auto-accreditavano come emissari di più rinomate organizzazioni. Si parlò di franchising[xiii] del terrorismo. In altri termini, il terrorismo di matrice islamica sembrava strutturato verticalmente da un punto di vista decisionale, e orizzontalmente da un punto di vista operativo ed esecutivo. Questa caratteristica trasformò di fatto Al Qaeda da organizzazione terroristica centrale con bersagli globali, in un gruppo criminale che si avvaleva di pericolose agenzie nelle diverse aree del mondo per colpire obiettivi locali e imprevedibili, i così detti soft target. Una successiva evoluzione è stata il compimento di atti terroristici mediante individui isolati che subivano l’efficacia suggestionante della propaganda mediatica fondamentalista. Si parlò in questi casi di cani sciolti o lupi solitari. Questi individui o erano soggetti isolati, o erano appartenenti ad articolazioni di organizzazioni terroristiche determinate, autonome e indipendenti fra di loro. Le loro motivazioni erano radicate nelle condizioni personali, mentre la matrice ideologica rimaneva sullo sfondo. A proposito di cani sciolti o lupi solitari si è precisato che si sarebbe trattato di potenziali terroristi che si attivavano subendo il plagio di una propaganda mirata, rientrando così in un progetto strategico essendo parte di una rete virtuale anche a loro insaputa. Dall’esame delle loro personalità emerse che questi individui erano condizionati da gravi problemi che li confinavano ai margini della comunità, o erano vittime del disorientamento causato dalla mancanza di valori di riferimento. Pertanto utili strumenti di prevenzione avanzata nei loro confronti, accanto all’azione dell’intelligence, potevano essere le politiche di integrazione, che avrebbero dovuto neutralizzare il loro risentimento verso una società che sentivano ostile o nei confronti della quale si sentivano inadeguati. RR



[i] L’attuale Directorate-General for Migration and Home Affairs, l’allora Directorate-General for Justice and Home Affairs.

 

[ii] L’11 settembre 2001 negli Stati Uniti sono stati perpetrati quattro attacchi suicidi contro obiettivi militari e civili (a Manhattan, New York, ad Arlington, Virginia, a Washington, District of Columbia), organizzati e realizzati da un gruppo di terroristi aderenti ad Al Qaeda, che causarono la morte di circa 3.000 persone e il ferimento di oltre 6 000.


 [iii] Il terrorismo attualmente è una delle principali minacce per la sicurezza dei cittadini europei. L’azione di contrasto dell’Unione Europea si articola nei seguenti ambiti: la prevenzione, la protezione dei cittadini e delle infrastrutture, il coordinamento giudiziario, l’elaborazione di strategie di contrasto generali e specifiche. Le iniziative in questi ambiti devono coordinarsi sia con i servizi nazionali di informazione e di sicurezza che operano nel settore, sia con l’azione di altre organizzazioni internazionali.


[iv] L’11 marzo 2004 avvennero intorno alle 7.30 del mattino dieci esplosioni in quattro diversi punti della rete ferroviaria di Madrid che provocarono la morte di 191 persone e il ferimento di altre 1858. A seguito degli accertamenti la responsabilità degli attacchi fu attribuita ad un gruppo di estremisti di ispirazione jihadista, presumibilmente legati ad Al Qaeda.

 

[v] La mattina del 7 luglio 2005 una serie di attentanti a Londra uccise 52 persone e quattro attentatori, causando più di 700 feriti. Tre bombe esplosero a bordo di tre diversi treni della metropolitana, mentre una quarta distrusse un autobus nei pressi di Tavistock Square. Anche in questo caso le attività di indagine accertarono che la responsabilità degli attacchi era di un gruppo di estremisti di ispirazione jihadista, legati ad Al Qaeda.

 

[vi] Innanzitutto nell’Islam manca un’autorità capace di esprimere una posizione ufficiale su ogni specifica questione (questa caratteristica riguarda principalmente l’Islam di professione sunnita, il 80- 90 % circa del mondo musulmano). Nell’Islam convivono tante confessioni che assumono posizioni spesso divergenti fra di loro, anche nell’ambito della principale divisione fra Sciiti e Sunniti.

 

[vii] Il ricorso collettivo alla violenza per la sottomissione degli infedeli può avvenire sia nella terra dell’Islam (Jihad difensivo), sia oltre i confini del mondo musulmano (Jihad offensivo). Dal Corano si desume l’obbligo al Jihad difensivo: ogni musulmano ha il dovere di difendere le terre dell’Islam dall’attacco di infedeli o liberarle dalla loro presenza. Il Jihad difensivo può essere considerato analogo al diritto di resistenza armata contro l’occupazione, che è riconosciuto dal diritto internazionale.

 

[viii] Il termine califfato, con il quale si indicava la comunità musulmana come entità politico-temporale, deriva dall’arabo khalifa (califfo), ovvero il successore di Maometto designato alla guida politica e spirituale della comunità. La figura del califfo non è prevista nel Corano; fu avvertita l’esigenza della sua istituzione dai primi compagni del Profeta dopo la sua morte.

 

[ix] Nel 1924 ebbe termine il califfato ottomano che ebbe inizio nel 1517 con l’assunzione del titolo di califfo da parte del sultano ottomano. Il califfato ottomano aveva un valore meramente spirituale, distinto da quello politico e militare del sultanato: al termine della Prima Guerra Mondiale ebbe fine il sultanato della dinastia ottomana, mentre, il califfato ne seguì la sorte solo nel 1924 a seguito di una decisione di un’assemblea convocata dal generale Mustafà Kemal Pascià, detto Atatürk, diventato Presidente della Turchia repubblicana.

 

[x]  Il Salafismo è un movimento riformista islamico sorto in Egitto verso la metà dell’Ottocento, che postulava la vivificazione dell’Islam attraverso il ritorno a un’interpretazione letterale delle fonti originarie (Corano e Sunna).

 

[xi] Wahabismo è un indirizzo religioso di tipo dogmatico e radicale che mira a liberare la fede da tutte le novità sopravvenute dopo i primi tempi dell’islamismo. La dottrina wahabita manifesta una radicale ostilità nei confronti di quei governi che si allontanano dalla via tracciata dal Corano: non c’è spazio per forme di legittimità

 

[xii] Al Qaeda attribuiva priorità all’attacco contro il nemico esterno, cioè contro l’Occidente, mentre l’ISIS rivolgeva la sua attenzione ad un progetto di omologazione dell’universo musulmano secondo i propri dettami.  

 

[xiii] Rapaccini R., Paura dell’Islam, Cittadella, Assisi, 2012.