Premessa
Nel
periodo in cui ho lavorato a Bruxelles presso la Commissione Europea in qualità
di esperto nazionale distaccato ho seguito gli aspetti internazionali della
cooperazione di polizia e ho prestato servizio in una struttura che si occupava
anche delle strategie comunitarie per il contrasto al terrorismo[i]. Come già detto nel
capitolo precedente, fino al 2000 il terrorismo era percepito in Europa come
un’emergenza esclusivamente nazionale. In particolare, la Spagna si trovava a
fronteggiare il terrorismo autonomista basco, mentre il Regno Unito era
impegnato nelle problematiche di ordine pubblico dell’Irlanda del Nord. Il
terrorismo di matrice islamica, già attentamente seguito negli Stati Uniti, non
era considerato in Europa una questione di rilevanza comunitaria. Le iniziative
dell’Unione europea si esaurivano nel monitorare le situazioni nazionali degli
Stati Membri. L’attacco agli USA nel settembre del 2001[ii] ha evidenziato che il
terrorismo di matrice islamica costituiva una minaccia di primaria importanza
per tutto il mondo occidentale, Europa compresa[iii], come poi i tragici
attentati di Madrid nel 2004[iv] e di Londra nel 2005[v] hanno drammaticamente
dimostrato. L’approccio dell’intelligence nei confronti del terrorismo è
diverso da quello verso la criminalità organizzata. Anche quest’ultima per
essere efficacemente contrastata deve essere oggetto di esame e di studio. Tuttavia si deve considerare che i
fenomeni eversivi sono il prodotto sbagliato di una ideologia, e quindi per la
loro prevenzione e repressione il momento dell’analisi è di prioritaria
importanza; l’analisi per essere efficace richiede un approccio globale,
prudente ed equilibrato. In proposito, la società islamica è permeata da una
religione particolarmente invasiva che esprime un’istanza di radicale
trasformazione delle istituzioni in senso confessionale: pertanto, anche se
Islam e terrorismo non possono essere considerate entità direttamente correlate
fra loro, tuttavia si rileva che la fede musulmana persegue un progetto
politico che può costituire un facile terreno per l’insorgere di manifestazioni
violente. Va precisato preliminarmente che, nell’analizzare il reale atteggiamento
dell’Islam nei confronti dell’Occidente, una difficoltà in cui ci si imbatte è
costituita dal suo carattere disomogeneo. La religione islamica infatti non può
essere considerata una monade dai tratti definiti, in quanto si articola in
molte confessioni che assumono posizioni spesso divergenti fra di loro[vi].
Jihad
Il terrorismo di matrice islamica costituisce un modo
per attuare il Jihad (per analogia con la lingua araba nella traduzione
italiana si preferisce dare alla parola il genere maschile)[vii]. Il termine viene spesso
tradotto ‘guerra santa’ intendendo con esso il ricorso collettivo alla violenza
per la sottomissione degli infedeli. In realtà, il termine jihad nell’arabo
standard significa genericamente massimo sforzo ed è seguito spesso
dall’espressione fi sabil Allah, cioè lungo il sentiero di Dio;
pertanto, con la locuzione
dovrebbe rettamente intendersi la lotta interiore e
individuale che il fedele sostiene in ogni momento della vita per predisporsi
alla comprensione dei misteri divini e per resistere alle pulsioni estranee o
contrarie alla morale religiosa. Peraltro guerra santa in arabo non si dice jihad
ma al Harb al Qdsiyah. Se si attribuisce al termine jihad il
significato di una mobilitazione collettiva per la difesa dell’Islam, con la
fine del Califfato[viii] nel 1924 si è posto il problema di quale
autorità, in quanto guida della comunità musulmana, potesse dichiarare in
futuro questa ‘chiamata alle armi’[ix]. In assenza di un
califfo, solo i leader musulmani potevano essere depositari di questo
potere; restava però problematica l’individuazione concreta di quale politico
potesse essere considerato un primus inter pares. Scavalcando l’autorità
politica degli Stati musulmani o quella dei capi religiosi, Al Qaeda prima e
poi l’Isis successivamente si sono attribuiti il potere di proclamare il jihad
contro i governi giudicati anti-islamici, filo-occidentali o semplicemente
corrotti e miscredenti; le loro iniziative terroristiche non avevano finalità
localistiche (cioè strategicamente limitate all’impatto nel contesto regionale
nel quale venivano compiute), ma si proclamavano strumento di un progetto
geopolitico più ampio. La maggior parte delle altre aggregazioni terroristiche
di matrice islamica invece perseguiva fini limitati al territorio in cui
operava.
Euro-jihadisti
Per Euro-jihadisti si intendono i neoconvertiti di nazionalità occidentale, nonché i così detti homegrown, gli immigrati di seconda generazione, cioè quelli nati e cresciuti in Occidente. In proposito, da riscontri statistici è risultato che nelle attività finalizzate al loro proselitismo sono irrilevanti le classi sociali di appartenenza: alcune ricerche sociologiche hanno evidenziato infatti la falsità del luogo comune secondo il quale il terrorista sarebbe indigente o proveniente da classi disagiate. Al contrario alcuni responsabili di azioni criminose di matrice islamica avevano completato gli studi universitari, mentre altri avevano un lavoro fisso, in alcuni casi anche di buon livello. In passato l’arruolamento di potenziali terroristi generalmente iniziava attraverso l’avvicinamento al radicalismo islamico che avveniva in seno all’ambiente familiare o mediante amici. Se il giovane si mostrava sensibile, si cercavano di rafforzare le sue determinazioni al fine di farne un mujaheddin, cioè un combattente jihadista. L’ambiente privilegiato per queste iniziative era la moschea, che non è solo un luogo di culto, ma anche un contesto nel quale a livello locale si articola una parte significativa della vita sociale. Qui si svolgono eventi conviviali e si rinsaldano i sentimenti di solidarietà fra Musulmani. La visione integralista - generalmente di tipo salafita[x] - costituiva un terreno fertile nel quale soprattutto nei giovani maturava il convincimento dell’esistenza di un dovere di andare a combattere in Siria o in Iraq per sostenere lo Stato islamico, punta esponenziale del jihad globale. A questa fase di avvicinamento alla strategia jihadista seguiva il contatto diretto con un membro attivo dell’eversione per dare seguito alle aspirazioni del neo-affiliato fornendogli anche il necessario supporto materiale. Questa pratica divenne più difficoltosa a seguito delle attività preventive dell’intelligence. Ha assunto nel frattempo maggiore rilievo la propaganda sul web di predicatori particolarmente carismatici. Più precisamente il contatto diretto con esponenti dell’integralismo probabilmente continua ad avvenire anche nelle moschee o in ambienti collegati, ma i siti web e i social network assicurano più efficacemente la promozione del radicalismo. Il ricorso ad Internet è particolarmente diretto ai giovanissimi. I siti sono preparati molto accuratamente, con video ed immagini finalizzati a suscitare il rifiuto della cultura occidentale, traditrice e infedele, e a considerare la guerra a sostegno dei fratelli islamici in difficoltà un obbligo per il vero credente. Il reclutamento di jihadisti non è mai stato un fenomeno di massa, ma è sempre stato diretto a quei giovani particolarmente disorientati dal relativismo dominante. L’Isis con il suo efficace apparato propagandistico forniva come alternativa alle criticità della società occidentale motivazioni strutturate su principi saldi - che erano il precipitato di una effimera propensione alla facile e banale certezza - e l’inserimento in un gruppo coeso dalla fede.
La genesi della minaccia fondamentalista
L’attualità ci ha abituato a considerare fisiologico
il confronto politico con i Paesi islamici. In realtà questa situazione ha
un’origine recente. Fino agli anni ‘70 infatti la cultura musulmana era oggetto
di attenzione solo per gli studiosi della materia, mentre la maggior parte
delle persone, immersa nel proprio etnocentrismo, guardava con distacco e con
superficiale curiosità a quel mondo caratterizzato
da consuetudini così diverse dalle nostre; il loro interesse si concentrava
esclusivamente sulle apparenze, sulle sovrastrutture, sugli aspetti esotici. L’Islam
in quei tempi non aveva una valenza politica; nella Turchia fin dai tempi di
Kemal Ataturk, e nell’Iran governato dalla famiglia Palhevi erano in atto
processi di modernizzazione e di occidentalizzazione, mentre nei Paesi arabi, a
cominciare dall’Egitto di Nasser, si affermava un socialismo di stampo laico. La
situazione è cambiata nel 1979 con la Rivoluzione di Khomeini in Iran:
cominciava a maturare la convinzione che poteva essere elaborata una via
musulmana al futuro, che non coincideva con un ritorno al passato. Da
allora la contrapposizione che si andava delineando fra il mondo islamico
fondamentalista e l’Occidente sostituiva il vuoto creato dal recente crollo
dell’Unione Sovietica. Divennero familiari termini come jihad. Da allora
l’Islam si cominciò ad affermare come realtà geopolitica contrapposta ad un
Occidente definito cristiano dalla propaganda fondamentalista, ma nella
sostanza agnostico. I Paesi islamici uscivano da una pregressa eclisse
del sacro. Questo cambiamento epocale, malinteso, è stato terreno fertile
per la genesi della minaccia fondamentalista e terrorista di matrice islamica.
Programma nucleare iraniano
L’accordo
firmato nel luglio 2015 dopo lunghe trattative fra i cosiddetti 5 + 1 (ovvero i
Paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu + la Germania, mandatari
della comunità internazionale) e l’Iran ebbe una grande portata storica. L’Iran in diverse
occasioni si è mostrato attivo nell’intraprendere iniziative destabilizzanti
nella regione mediorientale: ha sostenuto il regime di Assad in Siria, gli
Hezbollah in Libano, Hamas nella Striscia di Gaza, mentre ha supportato i
ribelli Houthi nello Yemen. L’integrazione dell’Iran nel contesto geopolitico
internazionale avrebbe potuto contribuire a rendere molto difficile il
perpetuarsi di queste iniziative. L’intesa sul nucleare ebbe come oggetto
principale il controllo del programma nucleare iraniano: in concreto enti
tecnici internazionali indipendenti sarebbero stati messi nella condizione di
verificare che le relative attività – cioè quelle attuative del programma –
fossero rivolte a scopi civili; come contropartita era prevista la rimozione
delle sanzioni che gravano sullo Stato persiano fin dai tempi di Khomeini.
L’intesa aveva un valore che andava ben oltre le leggi della finanza. L’Iran
usciva dall’isolamento nel quale lo avevano relegato l’embargo in atto e l’interruzione
delle relazioni commerciali, per tornare ad essere un interlocutore
dell’Occidente. Si trattava di una grande novità anche perchè l’Iran poteva
essere in prospettiva quell’alleato strategico nel mondo islamico di cui
l’Occidente aveva un bisogno vitale. La sua adesione all’Islam di tipo sciita
lo rendeva un partner affidabile per contrastare il fondamentalismo
sunnita e le ambiguità del mondo musulmano wahabita[xi], i cui atteggiamenti
di condanna della violenza jihadista spesso non corrispondevano ai
fatti: componenti delle monarchie del Golfo sono sempre state molto attive nel
fornire un supporto, anche economico, al fondamentalismo radicato in Europa,
che aveva la sua punta esponenziale nello Stato Islamico. Inoltre il governo
della Repubblica islamica iraniana appariva solido, moderato e riformista, e
sembrava riprendere in considerazione i progressi nel campo delle libertà
civili che furono obiettivi del passato leader Khatami, che con la sua
ascesa fece pensare all’avvento di una possibile primavera iraniana, abortita
con l’ascesa di Ahmadinejad. La popolazione persiana nella sostanza è
secolarizzata e conserva un substrato culturale occidentale. Tuttavia non si
deve dimenticare che la complessa architettura a doppio binario del Paese
prevede al governo, oltre ad un vertice civile, un capo religioso, che è
espressione di uno spirito conservatore teocratico che costituisce un reale
freno al progresso. Israele - che ha sempre considerato l’Iran una minaccia dal
punto di vista militare - valutava questo accordo un grave errore.Tuttavia i
tempi erano maturi per la stabilizzazione e la normalizzazione delle relazioni
di Israele con il mondo arabo attraverso l’implementazione degli accordi di
Oslo. In proposito Barack Obama, destinatario di un premio Nobel per la pace
assegnato ‘a scatola chiusa’, ha avuto il merito di aver portato a termine
questo progetto nell’ostilità manifesta di Israele e in quella meno apparente
delle tradizionali alleate monarchie saudite che temevano l’ascesa della
potenza iraniana nella regione medio-orientale. Il successore di Barak Obama,
Donald Trump, animato da opposte valutazioni, ha deciso di ritirare la sua
amministrazione dall’accordo al fine di ripristinare la situazione
preesistente.
Evoluzioni successive
Nel giugno del 2014 Abu Bakr
al-Baghdadi, noto come lo sceicco invisibile e guida dell’ISIS,
un’organizzazione terrorista di stampo jihadista attiva nella regione
medio-orientale, dichiarò l’istituzione di un califfato - denominato Stato
Islamico - nei territori occupati di Siria e Iraq, con lo scopo di estendere
successivamente la propria autorità su tutte le terre abitate dai Musulmani. I
rapporti tra ISIS e Al Qaeda non erano chiari: si parlò allora sia di una
rivalità nella leadership del jihadismo globale - anche in
relazione ad una diversa visione strategica[xii] - sia di alleanza o, più
precisamente, di una loro possibile fusione, con l’esito devastante e infausto
di un Occidente assediato dalla minaccia di attentatori islamisti. Gli atti
terroristici imputabili alla matrice jihadista cominciarono ad essere
realizzati anche da cellule indipendenti che si auto-accreditavano come
emissari di più rinomate organizzazioni. Si parlò di franchising[xiii] del terrorismo. In
altri termini, il terrorismo di matrice islamica sembrava strutturato
verticalmente da un punto di vista decisionale, e orizzontalmente da un punto
di vista operativo ed esecutivo. Questa caratteristica trasformò di fatto Al
Qaeda da organizzazione terroristica centrale con bersagli globali, in un gruppo
criminale che si avvaleva di pericolose agenzie nelle diverse aree del mondo
per colpire obiettivi locali e imprevedibili, i così detti soft target. Una
successiva evoluzione è stata il compimento di atti terroristici mediante
individui isolati che subivano l’efficacia suggestionante della propaganda
mediatica fondamentalista. Si parlò in questi casi di cani sciolti o lupi
solitari. Questi individui o erano soggetti isolati, o erano appartenenti
ad articolazioni di organizzazioni terroristiche determinate, autonome e
indipendenti fra di loro. Le loro motivazioni erano radicate nelle condizioni
personali, mentre la matrice ideologica rimaneva sullo sfondo. A proposito di cani sciolti o lupi solitari si
è precisato che si sarebbe trattato di potenziali terroristi che si attivavano
subendo il plagio di una propaganda mirata, rientrando così in un progetto
strategico essendo parte di una rete virtuale anche a loro insaputa. Dall’esame
delle loro personalità emerse che questi individui erano condizionati da gravi
problemi che li confinavano ai margini della comunità, o erano vittime del
disorientamento causato dalla mancanza di valori di riferimento. Pertanto utili
strumenti di prevenzione avanzata nei loro confronti, accanto all’azione dell’intelligence,
potevano essere le politiche di integrazione, che avrebbero dovuto
neutralizzare il loro risentimento verso una società che sentivano ostile o nei
confronti della quale si sentivano inadeguati. RR
[i]
L’attuale Directorate-General for Migration and Home
Affairs, l’allora Directorate-General for Justice and Home Affairs.
[ii] L’11 settembre 2001 negli Stati Uniti sono stati perpetrati
quattro attacchi suicidi contro obiettivi militari e civili (a Manhattan, New
York, ad Arlington, Virginia, a Washington, District of Columbia), organizzati
e realizzati da un gruppo di terroristi aderenti ad Al Qaeda, che causarono la
morte di circa 3.000 persone e il ferimento di oltre 6 000.
[iv] L’11 marzo 2004 avvennero intorno alle 7.30 del mattino dieci esplosioni in quattro diversi punti della rete ferroviaria di Madrid che provocarono la morte di 191 persone e il ferimento di altre 1858. A seguito degli accertamenti la responsabilità degli attacchi fu attribuita ad un gruppo di estremisti di ispirazione jihadista, presumibilmente legati ad Al Qaeda.
[v] La mattina del 7 luglio 2005 una serie di attentanti a Londra
uccise 52 persone e quattro attentatori, causando più di 700 feriti. Tre bombe
esplosero a bordo di tre diversi treni della metropolitana, mentre una quarta
distrusse un autobus nei pressi di Tavistock Square. Anche in questo caso le
attività di indagine accertarono che la responsabilità degli attacchi era di un
gruppo di estremisti di ispirazione jihadista, legati ad Al Qaeda.
[vi] Innanzitutto nell’Islam manca un’autorità capace di esprimere
una posizione ufficiale su ogni specifica questione (questa caratteristica
riguarda principalmente l’Islam di professione sunnita, il 80- 90 % circa del
mondo musulmano). Nell’Islam convivono tante confessioni che assumono posizioni
spesso divergenti fra di loro, anche nell’ambito della principale divisione fra
Sciiti e Sunniti.
[vii] Il ricorso collettivo alla violenza per la sottomissione
degli infedeli può avvenire sia nella terra dell’Islam (Jihad difensivo),
sia oltre i confini del mondo musulmano (Jihad offensivo). Dal Corano si
desume l’obbligo al Jihad difensivo: ogni musulmano ha il dovere di
difendere le terre dell’Islam dall’attacco di infedeli o liberarle dalla loro
presenza. Il Jihad difensivo può essere considerato analogo al diritto
di resistenza armata contro l’occupazione, che è riconosciuto dal diritto
internazionale.
[viii] Il termine califfato, con il quale si indicava la comunità
musulmana come entità politico-temporale, deriva dall’arabo khalifa (califfo),
ovvero il successore di Maometto designato alla guida politica e spirituale
della comunità. La figura del califfo non è prevista nel Corano; fu avvertita
l’esigenza della sua istituzione dai primi compagni del Profeta dopo la sua
morte.
[ix] Nel 1924 ebbe termine il califfato ottomano che ebbe inizio
nel 1517 con l’assunzione del titolo di califfo da parte del sultano ottomano.
Il califfato ottomano aveva un valore meramente spirituale, distinto da quello
politico e militare del sultanato: al termine della Prima Guerra Mondiale ebbe
fine il sultanato della dinastia ottomana, mentre, il califfato ne seguì la
sorte solo nel 1924 a seguito di una decisione di un’assemblea convocata dal
generale Mustafà Kemal Pascià, detto Atatürk, diventato Presidente della
Turchia repubblicana.
[x] Il Salafismo è un movimento riformista islamico sorto in
Egitto verso la metà dell’Ottocento, che postulava la vivificazione dell’Islam
attraverso il ritorno a un’interpretazione letterale delle fonti originarie
(Corano e Sunna).
[xi] Wahabismo è un indirizzo religioso di tipo dogmatico e
radicale che mira a liberare la fede da tutte le novità sopravvenute dopo i
primi tempi dell’islamismo. La dottrina wahabita manifesta una radicale
ostilità nei confronti di quei governi che si allontanano dalla via tracciata
dal Corano: non c’è spazio per forme di legittimità
[xii] Al Qaeda attribuiva priorità
all’attacco contro il nemico esterno, cioè contro l’Occidente, mentre l’ISIS
rivolgeva la sua attenzione ad un progetto di omologazione dell’universo
musulmano secondo i propri dettami.
[xiii] Rapaccini R., Paura dell’Islam, Cittadella, Assisi,
2012.