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PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

mercoledì 23 settembre 2020

LA COMPLESSITÀ DELLA CRISI DEL MONDO ISLAMICO (10.03.2020)

 Crisi dell’Islam e Primavera Araba

Alla fine del 2010 la Tunisia è stata interessata da moti rivoluzionari che nei mesi successivi si sono propagati con effetto domino in altri Paesi arabi [1]. Queste manifestazioni, definite complessivamente Primavera Araba, sono state l'esito di una profonda crisi politica. I moti hanno avuto moventi laici: i dimostranti, spinti da un diffuso malessere per una società cristallizzata su posi­zioni antidemocratiche e caratterizzata da una inaccetta­bile diseguaglianza nella distribuzione delle ricchezze, sono scesi in stra­da richiedendo libertà e giustizia. Il fondamentalismo religioso non ha avuto un ruolo in questo contesto [2]. La Primavera Araba ha principalmente riguardato sei Stati: la Tunisia, l’Egit­to, lo Yemen, il Bahrain, la Siria e la Libia. Sembrava che questo processo potesse cambiare il mondo arabo in senso pluralista in maniera irreversibile. Al contrario i Paesi nei quali si ebbero cambiamenti politici sono approdati ad una neo islamizzazione che ha contribuito ad affermare regimi non particolarmente diversi da quelli precedenti. Le nuove istituzioni infatti non potevano ispirarsi alle democrazie occidentali, considerate corrotte e lontane da valori spirituali. La piena applicazione dei principi dell’Islam, ripristinati nella loro purezza, venne considerata invece l’unica via in grado di assicurare uno Stato perfetto oltre che giusto. Pertanto la Primavera Araba, pur essendosi originata da movimenti laici, approdò - con l'unica eccezione della Tunisia [3] - ad esiti integralisti[4] .

L’ascesa solo numerica dell’Islam

Attualmente si stima che i fedeli musulmani siano circa 1,6-1,8 miliardi, che equivale a circa il 23% della popolazione mondiale. L’Islam, quanto a consistenza numerica, è la seconda religione nel mondo dopo il Cristianesimo che, con circa 2,2 miliardi di fedeli (che equivale a più del 31%), è la confessione religiosa più praticata. Tuttavia l’Islam ha un indice di crescita particolarmente significativo, supportato dalle dinamiche demografiche che favoriscono i Paesi islamici, che hanno in generale un tasso di natalità maggiore di quello delle regioni del mondo nelle quali prevalgono i cristiani. È pertanto probabile che in un futuro non lontano i fedeli islamici possano superare quelli cristiani, anche se non si può prevedere con certezza quando questo possa avvenire considerata l’incidenza delle fluttuazioni delle varianti sociali e politiche [5]. L’ascesa dell’Islam, descritta da fredde statistiche che non tengono conto della reale rilevanza delle confessioni religiose nei diversi contesti nazionali, non corrisponde alla sconfitta della Cristianità occidentale di fronte ad un Islam guerriero e fortemente motivato. L’Occidente anche se in crisi, resta caratterizzato da un pensiero che, seppure debole [6] o liquido [7] per l’assenza di riferimenti certi, è espressione di un consolidato dialogo fra le componenti sociali, presupposto per qualsiasi forma di progresso. Senza disconoscere i possibili condizionamenti dovuti ai mezzi di cui si possono avvalere le élite al potere, qualsiasi materia in Occidente può essere oggetto di un approfondimento, laicamente condiviso senza costrizioni, grazie alle potenzialità della democrazia e all’eredità dell’Illuminismo che ha evidenziato il potente e positivo valore innovativo della ragione, non necessariamente contrapposta alla fede. Nonostante la sua attuale crescita numerica il mondo islamico è invece caratterizzato da un’involuzione culturale per l’assenza di una libera dialettica al suo interno.

Le radici cristiane dell’Europa – Il rischio della banalizzazione del Cristianesimo

Con l’intento di contrastare la diffusione in Europa della religione islamica a seguito dei fenomeni migratori e di affermare l’estraneità di altre culture, viene spesso sottolineata la natura cristiana delle radici europee. La costante interazione del Cristianesimo nelle sue manifestazioni spirituali e temporali con la storia politica dell’Europa è un fatto oggettivo e non ideologico. Chi dubita di questo probabilmente non tiene conto che affermando la natura cristiana delle radici europee non si vuole attribuire carattere confessionale agli Stati europei attuali, né negare la conquista moderna e illuministica della laicità, ma solo riconoscere una realtà storica obiettiva. Sembra ugualmente innegabile l’influenza della religione cristiana nella cultura europea, anche nel caso in cui questa suggestione venga valutata in termini negativi come mera interferenza. Molti valori confessionali infatti hanno influenzato lo sviluppo del patrimonio etico comunitario. È noto ad esempio che la Rivoluzione Francese abbia combattuto la visione antropologica e sociale della Chiesa Cattolica; nello stesso tempo tuttavia si deve rilevare che i principi alla base del movimento rivoluzionario, cioè la libertà, l’uguaglianza e la fraternità, hanno un’origine cristiana. Analogamente attraverso il Cristianesimo è entrato nella Storia il valore della persona come base della convivenza. Come corollario della visione sopra esposta si afferma che i simboli cristiani, come la croce e il presepe, appartengono alla tradizione europea e perciò vanno difesi con fermezza. Questa considerazione, nonostante le buone intenzioni, potrebbe approdare ad esiti opposti, ovvero alla banalizzazione della religione cristiana. Esigere che la croce o il presepe siano tutelati e rispettati non come riferimenti di un intimo convincimento spirituale, ma in quanto parte irrinunciabile dell’arte e della tradizione europea, rischia di degradare il Cristianesimo a mera matrice culturale comune dei popoli europei, disconoscendone il valore di religione. L’indebolimento e la banalizzazione del Cristianesimo nel senso anzidetto creano un vuoto spirituale che può essere occupato da religioni, come l’Islam, che hanno una forte invasività e un solido apparato confessionale.

Le cause del declino della civiltà islamica nel secondo millennio

Nella seconda metà del primo millennio la civiltà arabo-islamica aveva raggiunto un alto grado di sviluppo sotto il profilo scientifico, culturale e artistico. Dopo l’anno Mille sono iniziati una stagnazione e un progressivo declino, mentre le potenze europee continuavano a progredire in ambito tecnologico e umanistico. Non è facile individuare le cause di questa crisi: sono state formulate varie teorie. Ha sicuramente esercitato molta influenza su questo declino la disputa avvenuta nel IX e nel X secolo tra il movimento degli Ashariti - una corrente religiosa e filosofica profondamente tradizionalista che esaltava il carattere assolutamente superiore delle capacità divine rispetto alle potenzialità dell’uomo e negava il libero arbitrio affermando che le vicende umane erano governate dalla predestinazione - e il movimento dei Mutaziliti, fautore di una dottrina liberale razionalista. Esito finale di questo contrasto fu una visione oscurantista che rifiutava il potere della conoscenza razionale sostenendo il carattere inconoscibile della realtà. Corollario di questo approccio filosofico fu anche il disconoscimento del principio di causalità come spiegazione degli eventi.  L’affermazione dell’ortodossia islamica avversa alla ragione e alla libertà causò la negazione del valore della speculazione scientifica, mentre la teologia si andava affermando come l’unica fonte di conoscenza. Anche il Cristianesimo in passato si è trovato contrapposto alla scienza; tuttavia, grazie al carattere più articolato e meno monolitico della società occidentale e alle vicende storiche che hanno sviluppato la separazione fra Stato e Chiesa consentendo l’elaborazione del concetto di laicità, la religione non è mai riuscita a frenarne lo sviluppo, mentre fede e ragione, mistero e scienza hanno trovato le condizioni per coesistere favorendo innovazioni scientifiche e sociali, e scoperte tecniche. In maniera simmetricamente opposta l’incapacità critica delle istituzioni islamiche ha impedito il confronto dialettico che è alla base del progresso intellettuale e materiale. L’esclusivo riferimento alla Sharia ha favorito anche le degenerazioni fondamentaliste, terreno fertile per le derive violente e intolleranti.

La crescita dell’indifferentismo religioso nel mondo arabo

Il concetto di laicità è estraneo alla cultura islamica ed è confuso con la nozione di ateismo. Per la logica islamica non essere musulmano equivale a non essere credente: non è ammessa una terza possibilità, ovvero essere fedele di un altro credo. Questo atteggiamento può essere una conseguenza della mancanza nella storia dei popoli arabi di un movimento analogo all'Illuminismo, che in Occidente ha enfatizzato i diritti di libertà affermando la necessità che essi si strutturino in maniera affrancata da schemi precostituiti. L’assenza del pluralismo religioso è anche un corollario della più generale mancanza di libertà nei regimi teocratici. La libertà è ritenuta un potenziale strumento di eversione. Uno studio effettuato nel 2013 dall’Università inglese di Cardiff ha evidenziato che i musulmani adulti che praticavano in modo continuativo la loro fede erano il 77%, mentre i cristiani erano solo il 29%. L’alta percentuale di praticanti islamici rispetto a quelli di altre religioni è stata spiegata con il carattere globalmente più coinvolgente dell’Islam da un punto di vista sociale e politico rispetto ad altre confessioni religiose.  Inoltre la religione nei contesti islamici viene trasmessa puntualmente dai genitori ai figli. Contribuisce allo stesso obiettivo anche il carattere confessionale delle istituzioni scolastiche. Tuttavia in questi ultimi anni si è registrato nel mondo arabo un aumento, ancora molto contenuto, di individui che si dichiarano indifferenti alla religione. L’indifferentismo religioso è una condizione diversa da quella del non praticante. Il non praticante è un fedele che non segue scrupolosamente le pratiche cultuali.Secondo una recente ricerca dell’Arab Barometer [8] dal 2013 al 2019 la frangia, ancora molto esigua, di arabi che si dichiarano non religiosi è passata dall’8% al 13%. Il dato è particolarmente significativo se si considera che si colloca in anni di risveglio islamico.In dettaglio l'avanzata maggiore della laicità si è registrata in Tunisia (dal 16% al 35%), seguita da quella in Libia (dall'11% al 25%), in Algeria (dall' 8% al 13%), in Marocco (dal 4% al 12%), in Egitto (dal 3% al 12%). Il dato non specifica quale fede sia in diminuzione, ma, considerata l’esigua presenza di Cristiani o di fedeli di altre religioni in questi Paesi, si può fondatamente desumere che il dato si riferisca all’Islam. Gli studiosi non concordano nell’individuazione delle cause; peraltro le realtà politiche dei Paesi arabi in cui si è registrato questo dato differiscono molto fra di loro. Sembra che la deriva terroristica di matrice islamica sia estranea all’incremento del fenomeno, mentre assumerebbero particolare rilievo motivazioni personali che originano crisi religiose individuali. Questi dati contraddicono l’immagine di un Islam caratterizzato da un’alta e compatta percentuale di praticanti  

Conclusioni

Dalle considerazioni esposte emerge che il mondo islamico è attraversato da una crisi paradossalmente di segno opposto rispetto a quella che ha determinato il declino della cultura araba nei primi secoli dopo il Primo Millennio. Allora l’esclusivo riferimento alla teologia costituì un ostacolo al progresso della tecnica e della scienza. Attualmente è invece possibile che stia timidamente iniziando un processo di laicizzazione e di crisi della fiducia nel carattere teocratico dello Stato islamico. RR

 


[1] A partire dall’Egitto nei primi mesi del 2011.

 [2] Nelle manifestazioni della Primavera Araba in linea di massima sono mancati quegli atteggiamenti anti-occidentali (soprattutto anti-americani e anti-israeliani) emersi in precedenti rivoluzioni islami­che (ad esempio in quella in Iran del 1978-1979), che avevano accreditato l’immagine di un mondo musulmano compatto nell’essere contrapposto all’Occi­dente.

 [3] La Tunisia è considerata l’unico esempio virtuoso della Primavera Araba, essendo stata capace di avviare nel Paese una transizione democratica. Tuttavia, lo stato tunisino resta ancora attraversato da profonde fratture socio-economiche combinate con alcune criticità di natura politica.

[4] Nella fondazione di un nuovo Stato inoltre sono prioritari la formazione di un’assemblea costituente e l’indizione di libere elezioni. Nei Paesi arabi nei quali si svolsero le consultazioni elettorali la democratizzazione rimase intrappolata in un circolo vizioso. Le elezioni infatti non sono il momento iniziale di una democrazia ma il suo punto di arrivo in quanto il loro valido e libero svolgimento richiede un apparato democratico e una ben formata coscienza civica.

[5]Il tasso di natalità delle famiglie islamiche è intorno all’8 circa, mentre quello medio delle famiglie dell’area comunitaria oscilla fra 1,2 e 1,3. La tesi allarmistica di un prossimo (entro il secolo) ‘sorpasso’ islamico è radicata esclusivamente sulla simulazione di situazioni future in base a dati estrapolati dal presente. In proposito in generale a distanza di una generazione i modelli riproduttivi tra le popolazioni ospiti e quelle ospitanti convergono su medesimi valori; ovvero, se il vantaggio riproduttivo degli immigrati di prima generazione sugli autoctoni è sensibile, per le successive discendenze la differenza si riduce fino a essere vicina allo zero, poiché le due componenti generazionali tendono a crescere alla stessa velocità. Inoltre deve essere considerato uno scenario più ampio che valuta l'incidenza concreta di fattori come l’influenza di modelli familiari locali, i matrimoni misti, l’istruzione scolastica, le ristrettezze economiche, le difficoltà occupazionali, cioè, in sintesi, gli effetti di componenti che determinano la discontinuità o la rottura con il passato.

[6]Il pensiero debole è un concetto introdotto dai filosofi Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti per descrivere un importante mutamento etico nel modo di concepire la filosofia, avvenuto a partire dalla metà del XX secolo. Questo mutamento, introdotto dall'opera di pensatori come Friedrich Nietzsche e Martin Heidegger, è caratterizzato dal cadere di numerosi presupposti fondanti della filosofia classica e della tradizione filosofica occidentale.

[7]Il filosofo Bauman ha spiegato la postmodernità usando le metafore di modernità liquida e solida. Per società liquida si intende una concezione sociologica che considera l’esperienza individuale e le relazioni sociali segnate da caratteristiche e strutture che si vanno decomponendo e ricomponendo rapidamente, in modo vacillante e incerto, fluido e volatile.

[8] L’Arab Barometer un istituto di ricerca che monitora le variazioni politiche e sociali in Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente.