RASSEGNA STAMPA S.

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• Il Passato sarà un buon rifugio, ma il Futuro è l'unico posto dove possiamo andare. (Renzo Piano) •

PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

sabato 27 dicembre 2025

LE PROSPETTIVE GEOPOLITICHE DEL 2026: I RISCHI


C’è il rischio che il 2026 non venga ricordato come un anno di svolta, ma come il momento in cui il mondo prende definitivamente atto di vivere dentro una instabilità strutturale, non più transitoria né emergenziale, bensì normalizzata, amministrata, quasi interiorizzata dai sistemi politici e dalle società. C’è il rischio che la geopolitica continui a smettere di promettere ordine e cominci solo a distribuire forme di contenimento, dove la gestione del conflitto sostituisce la sua risoluzione e la durata diventa una variabile strategica più importante dell’esito. In questo scenario c’è il rischio che la multipolarità, invece di produrre equilibrio, consolidi una frammentazione competitiva permanente, fatta di potenze che non riescono a dominare il sistema ma nemmeno ad accettarne una regolazione condivisa, generando un mondo in cui le sfere di influenza si sovrappongono, si urtano e si consumano senza mai chiarirsi del tutto. C’è il rischio che i conflitti in corso non trovino vere conclusioni ma si trasformino in guerre lunghe, intermittenti, ibride, capaci di assorbire risorse, attenzione e legittimità politica, mentre la pace smette di essere un obiettivo e diventa una pausa tecnica tra una crisi e l’altra. C’è il rischio che la sicurezza venga sempre più tradotta in architettura quotidiana, in un insieme di controlli, restrizioni, dipendenze energetiche e digitali che incidono direttamente sulle vite ordinarie, producendo società più protette ma anche più rigide, più sorvegliate e meno fiduciose, dove la promessa politica non è più il progresso ma la semplice tenuta. C’è il rischio che la tecnologia, soprattutto l’intelligenza artificiale e il controllo dei dati, diventi il vero campo di battaglia invisibile, spostando il conflitto dalla conquista dei territori alla conquista degli standard, dagli eserciti agli algoritmi, creando nuove asimmetrie di potere difficili da percepire ma quasi impossibili da colmare. C’è il rischio che l’Europa attraversi il 2026 consapevole della propria fragilità strategica ma ancora incompiuta nella capacità di tradurre questa consapevolezza in decisione, rimanendo una potenza normativa in un mondo che privilegia la forza, la rapidità e l’ambiguità, esposta quindi al pericolo di diventare uno spazio regolato più che un soggetto geopolitico pienamente autonomo. C’è il rischio che, in assenza di grandi narrazioni condivise, tornino con forza linguaggi identitari, religiosi e simbolici, capaci di dare senso al conflitto ma anche di irrigidirlo, rendendo le crisi più resistenti al compromesso e più profonde sul piano culturale e psicologico. In definitiva c’è il rischio che il 2026 non apra una nuova fase, ma chiuda definitivamente l’illusione di un ritorno alla stabilità, consegnandoci un mondo in cui la vera linea di frattura non passa più tra pace e guerra, ma tra chi riesce a reggere la complessità senza disgregarsi e chi, sotto il peso dell’instabilità permanente, comincia lentamente a perdere forma, coesione e futuro.

Queste considerazioni sono il prodotto dell’analisi della ragione che per sua natura è prudente, disincantata, pessimista, perché la ragione, quando osserva la storia e i rapporti di forza, tende a vedere prima le crepe che le promesse e a riconoscere i limiti prima delle possibilità. Ma proprio per questo non può e non deve coincidere con la volontà. La volontà non è chiamata a prevedere, bensì a resistere, a orientare, a scegliere anche quando il quadro è sfavorevole. Se la ragione avverte dei rischi, l’ottimismo non è un errore di valutazione ma un atto di responsabilità, una decisione etica e politica di non consegnare il futuro alla sola inerzia dei conflitti. In un mondo che sembra organizzarsi intorno all’instabilità permanente, mantenere l’ottimismo della volontà non significa negare la durezza del reale, ma affermare che la storia non è mai completamente chiusa e che, anche nei passaggi più critici, resta aperta la possibilità di deviare, correggere, ricomporre. Roberto Rapaccini