Il
caso dell’imam Mohamed Shahin, liberato dal Centro di Permanenza per il Rimpatrio
(CPR) di Caltanissetta su decisione della Corte d’Appello di Torino nel
dicembre 2024, è un’occasione per esaminare i limiti costituzionali e
sovranazionali del trattenimento amministrativo dello straniero. Attraverso
l’analisi della normativa interna, del diritto dell’Unione Europea e della
giurisprudenza costituzionale ed europea, è possibile evidenziare la funzione
del controllo giurisdizionale come presidio essenziale contro derive
automatiche o sproporzionate delle misure limitative della libertà personale. Alla
fine di novembre 2024 l’imam Mohamed Shahin, cittadino straniero residente da
lungo tempo in Italia e guida religiosa di una comunità islamica torinese, è
stato destinatario di un provvedimento di espulsione per motivi di ordine
pubblico e sicurezza dello Stato, adottato ai sensi del Testo Unico sull’Immigrazione.
In esecuzione del provvedimento l’interessato è stato trasferito presso il
Centro di Permanenza per il rimpatrio di Caltanissetta, ove è rimasto
trattenuto in attesa dell’allontanamento. Il provvedimento amministrativo
trovava fondamento in alcune dichiarazioni pubbliche rese dall’imam nel corso
di una manifestazione. Su tali affermazioni era stato parallelamente aperto un
procedimento penale per istigazione a delinquere, successivamente archiviato in
quanto l’autorità giudiziaria aveva escluso la rilevanza penale delle condotte,
ricondotte nell’ambito della libertà di manifestazione del pensiero ex art. 21
Cost. A seguito del ricorso proposto dalla difesa la Corte d’Appello di Torino
con decisione del 15 dicembre 2024 aveva disposto la cessazione del
trattenimento, ritenendo non più sussistenti i presupposti normativi per la
compressione della libertà personale. Rimangono tuttora pendenti, in sedi
giurisdizionali distinte, i giudizi relativi alla revoca del permesso di
soggiorno e alla domanda di protezione internazionale. La domanda di protezione
internazionale è la richiesta di riconoscimento di uno status di protezione
previsto dal diritto internazionale, europeo e nazionale, che impedisce allo
Stato di espellere o respingere lo straniero. La domanda di protezione non annulla automaticamente
un precedente decreto di espulsione, né rende di per sé illegittimo il
trattenimento. Il trattenimento amministrativo è disciplinato dall’art. 14 del
d.lgs. n. 286/1998. Esso non costituisce una sanzione penale né una misura di
sicurezza, ma uno strumento funzionale all’esecuzione dell’espulsione, ammesso
esclusivamente nei casi in cui l’allontanamento immediato non sia possibile. La
Corte Costituzionale in proposito ha chiarito in modo costante che, pur in
assenza di una qualificazione penalistica, il trattenimento incide direttamente
sulla libertà personale, ricadendo quindi nell’ambito di applicazione dell’art.
13 Cost. Ne discende la necessità del rispetto di due principi fondamentali:
- la riserva di
legge, che impone una previsione normativa chiara, tassativa e non
analogica;
- la riserva di
giurisdizione, che esige la convalida e il controllo periodico della
misura da parte di un giudice.
In
tale prospettiva il trattenimento si configura come una misura eccezionale,
ammissibile solo in presenza di presupposti rigorosi e verificabili in
concreto. Il quadro normativo nazionale deve essere interpretato alla luce
della direttiva 2008/115/CE (“Direttiva rimpatri”), che costituisce il
parametro sovranazionale di riferimento. L’art. 15 della Direttiva consente il
trattenimento solo quando:
· sussista un
rischio di fuga o l’interessato ostacoli il rimpatrio;
· vi sia una
prospettiva ragionevole di esecuzione dell’allontanamento;
· la misura sia
limitata al tempo strettamente necessario.
La
Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha precisato che il venir meno della
prospettiva di rimpatrio comporta l’obbligo di cessazione immediata del trattenimento
(in particolare ha affermato che “…il trattenimento può essere disposto
unicamente allo scopo di preparare il rimpatrio e/o procedere
all’allontanamento… …la detenzione non è più giustificata e la persona
interessata deve essere immediatamente rilasciata… il giudice nazionale deve verificare in
concreto la sussistenza delle condizioni del trattenimento, non potendosi
limitare a un controllo formale…”. Ne deriva che il giudice nazionale è
chiamato a svolgere un controllo sostanziale e non meramente formale,
verificando l’effettiva funzionalità della misura rispetto alla finalità
dichiarata. Nel caso Shahin il nodo centrale riguarda il rapporto tra
valutazione amministrativa della pericolosità sociale e accertamento penale.
Sebbene i due piani restino formalmente distinti, l’archiviazione del
procedimento penale ha inciso significativamente sulla tenuta della motivazione
amministrativa. La giurisprudenza costituzionale ha affermato che la
compressione della libertà personale deve essere sorretta da una valutazione
attuale, concreta e individualizzata del pericolo. Valutazioni generiche o non
aggiornate risultano incompatibili con il principio di proporzionalità, che
impone un bilanciamento effettivo tra interessi pubblici e diritti fondamentali.
In
assenza di elementi nuovi idonei a dimostrare una minaccia concreta per
l’ordine pubblico il trattenimento rischia di trasformarsi da misura
strumentale a restrizione priva di finalità, in contrasto con l’art. 13 Cost. e
con il diritto europeo. La Corte d’Appello di Torino ha esercitato il proprio
ruolo di giudice delle libertà, rilevando:
- la mancanza
di attualità della pericolosità sociale, alla luce dell’archiviazione
penale;
- la violazione
del principio di proporzionalità;
- l’assenza di
elementi certi circa la eseguibilità del rimpatrio in tempi ragionevoli.
La
decisione non ha inciso sul merito definitivo del provvedimento di espulsione,
ma ha riguardato esclusivamente la legittimità della prosecuzione del
trattenimento, confermando la distinzione strutturale tra controllo sulla
libertà personale e giudizio sull’atto amministrativo.
Il
caso consente di ribadire la distinzione tra:
- controllo
giurisdizionale sul trattenimento, affidato al giudice ordinario (Corte
d’Appello), volto a verificare la legittimità della compressione della
libertà personale;
- giudizio
amministrativo sull’espulsione, demandato al TAR, relativo alla
legittimità dell’atto sotto il profilo dell’eccesso di potere, della
motivazione e della corretta valutazione dei presupposti.
La
liberazione dal Centro di Permanenza per il Rimpatrio non equivale dunque
all’annullamento dell’espulsione, ma consente allo straniero di attendere
l’esito dei giudizi pendenti in stato di libertà. In conclusione il caso Shahin
rappresenta un esempio paradigmatico del funzionamento delle garanzie
multilivello che presidiano la libertà personale dello straniero. In linea con
la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (l’organo
giurisdizionale del Consiglio d’Europa -
non dell’Unione Europea - con sede a Strasburgo, competente a giudicare le
violazioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 1950), la
decisione della Corte d’Appello di Torino conferma che la sicurezza pubblica,
pur costituendo un interesse primario, non può giustificare limitazioni
automatiche o indefinite della libertà personale. Il trattenimento
amministrativo si configura così come uno spazio di tensione controllata tra
potestà amministrativa e diritti fondamentali, in cui il giudice svolge una
funzione essenziale di filtro e riequilibrio, assicurando che l’eccezione non
diventi regola e che la sicurezza non si traduca in una sospensione di fatto
delle garanzie costituzionali. Roberto Rapaccini
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