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PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

martedì 23 dicembre 2025

IL CASO DELL’IMAM MOHAMED SHAHIN TRA FATTI, DECISIONI GIUDIZIARIE, E GARANZIE PERSONALI

Il caso dell’imam Mohamed Shahin, liberato dal Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Caltanissetta su decisione della Corte d’Appello di Torino nel dicembre 2024, è un’occasione per esaminare i limiti costituzionali e sovranazionali del trattenimento amministrativo dello straniero. Attraverso l’analisi della normativa interna, del diritto dell’Unione Europea e della giurisprudenza costituzionale ed europea, è possibile evidenziare la funzione del controllo giurisdizionale come presidio essenziale contro derive automatiche o sproporzionate delle misure limitative della libertà personale. Alla fine di novembre 2024 l’imam Mohamed Shahin, cittadino straniero residente da lungo tempo in Italia e guida religiosa di una comunità islamica torinese, è stato destinatario di un provvedimento di espulsione per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, adottato ai sensi del Testo Unico sull’Immigrazione. In esecuzione del provvedimento l’interessato è stato trasferito presso il Centro di Permanenza per il rimpatrio di Caltanissetta, ove è rimasto trattenuto in attesa dell’allontanamento. Il provvedimento amministrativo trovava fondamento in alcune dichiarazioni pubbliche rese dall’imam nel corso di una manifestazione. Su tali affermazioni era stato parallelamente aperto un procedimento penale per istigazione a delinquere, successivamente archiviato in quanto l’autorità giudiziaria aveva escluso la rilevanza penale delle condotte, ricondotte nell’ambito della libertà di manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost. A seguito del ricorso proposto dalla difesa la Corte d’Appello di Torino con decisione del 15 dicembre 2024 aveva disposto la cessazione del trattenimento, ritenendo non più sussistenti i presupposti normativi per la compressione della libertà personale. Rimangono tuttora pendenti, in sedi giurisdizionali distinte, i giudizi relativi alla revoca del permesso di soggiorno e alla domanda di protezione internazionale. La domanda di protezione internazionale è la richiesta di riconoscimento di uno status di protezione previsto dal diritto internazionale, europeo e nazionale, che impedisce allo Stato di espellere o respingere lo straniero. La domanda di protezione non annulla automaticamente un precedente decreto di espulsione, né rende di per sé illegittimo il trattenimento. Il trattenimento amministrativo è disciplinato dall’art. 14 del d.lgs. n. 286/1998. Esso non costituisce una sanzione penale né una misura di sicurezza, ma uno strumento funzionale all’esecuzione dell’espulsione, ammesso esclusivamente nei casi in cui l’allontanamento immediato non sia possibile. La Corte Costituzionale in proposito ha chiarito in modo costante che, pur in assenza di una qualificazione penalistica, il trattenimento incide direttamente sulla libertà personale, ricadendo quindi nell’ambito di applicazione dell’art. 13 Cost. Ne discende la necessità del rispetto di due principi fondamentali:

  • la riserva di legge, che impone una previsione normativa chiara, tassativa e non analogica;
  • la riserva di giurisdizione, che esige la convalida e il controllo periodico della misura da parte di un giudice.

In tale prospettiva il trattenimento si configura come una misura eccezionale, ammissibile solo in presenza di presupposti rigorosi e verificabili in concreto. Il quadro normativo nazionale deve essere interpretato alla luce della direttiva 2008/115/CE (“Direttiva rimpatri”), che costituisce il parametro sovranazionale di riferimento. L’art. 15 della Direttiva consente il trattenimento solo quando:

·       sussista un rischio di fuga o l’interessato ostacoli il rimpatrio;

·       vi sia una prospettiva ragionevole di esecuzione dell’allontanamento;

·       la misura sia limitata al tempo strettamente necessario.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha precisato che il venir meno della prospettiva di rimpatrio comporta l’obbligo di cessazione immediata del trattenimento (in particolare ha affermato che “…il trattenimento può essere disposto unicamente allo scopo di preparare il rimpatrio e/o procedere all’allontanamento… …la detenzione non è più giustificata e la persona interessata deve essere immediatamente rilasciata…  il giudice nazionale deve verificare in concreto la sussistenza delle condizioni del trattenimento, non potendosi limitare a un controllo formale…”. Ne deriva che il giudice nazionale è chiamato a svolgere un controllo sostanziale e non meramente formale, verificando l’effettiva funzionalità della misura rispetto alla finalità dichiarata. Nel caso Shahin il nodo centrale riguarda il rapporto tra valutazione amministrativa della pericolosità sociale e accertamento penale. Sebbene i due piani restino formalmente distinti, l’archiviazione del procedimento penale ha inciso significativamente sulla tenuta della motivazione amministrativa. La giurisprudenza costituzionale ha affermato che la compressione della libertà personale deve essere sorretta da una valutazione attuale, concreta e individualizzata del pericolo. Valutazioni generiche o non aggiornate risultano incompatibili con il principio di proporzionalità, che impone un bilanciamento effettivo tra interessi pubblici e diritti fondamentali.

In assenza di elementi nuovi idonei a dimostrare una minaccia concreta per l’ordine pubblico il trattenimento rischia di trasformarsi da misura strumentale a restrizione priva di finalità, in contrasto con l’art. 13 Cost. e con il diritto europeo. La Corte d’Appello di Torino ha esercitato il proprio ruolo di giudice delle libertà, rilevando:

  • la mancanza di attualità della pericolosità sociale, alla luce dell’archiviazione penale;
  • la violazione del principio di proporzionalità;
  • l’assenza di elementi certi circa la eseguibilità del rimpatrio in tempi ragionevoli.

La decisione non ha inciso sul merito definitivo del provvedimento di espulsione, ma ha riguardato esclusivamente la legittimità della prosecuzione del trattenimento, confermando la distinzione strutturale tra controllo sulla libertà personale e giudizio sull’atto amministrativo.

Il caso consente di ribadire la distinzione tra:

  • controllo giurisdizionale sul trattenimento, affidato al giudice ordinario (Corte d’Appello), volto a verificare la legittimità della compressione della libertà personale;
  • giudizio amministrativo sull’espulsione, demandato al TAR, relativo alla legittimità dell’atto sotto il profilo dell’eccesso di potere, della motivazione e della corretta valutazione dei presupposti.

La liberazione dal Centro di Permanenza per il Rimpatrio non equivale dunque all’annullamento dell’espulsione, ma consente allo straniero di attendere l’esito dei giudizi pendenti in stato di libertà. In conclusione il caso Shahin rappresenta un esempio paradigmatico del funzionamento delle garanzie multilivello che presidiano la libertà personale dello straniero. In linea con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (l’organo giurisdizionale del Consiglio d’Europa  - non dell’Unione Europea - con sede a Strasburgo, competente a giudicare le violazioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 1950), la decisione della Corte d’Appello di Torino conferma che la sicurezza pubblica, pur costituendo un interesse primario, non può giustificare limitazioni automatiche o indefinite della libertà personale. Il trattenimento amministrativo si configura così come uno spazio di tensione controllata tra potestà amministrativa e diritti fondamentali, in cui il giudice svolge una funzione essenziale di filtro e riequilibrio, assicurando che l’eccezione non diventi regola e che la sicurezza non si traduca in una sospensione di fatto delle garanzie costituzionali. Roberto Rapaccini