CONFLITTO
ISRAELE-PALESTINESI: SITUAZIONE ATTUALE A NOVEMBRE 2025
1.
Sviluppi
recenti nella Striscia di Gaza
Il
conflitto tra Israele e palestinesi ha vissuto una drammatica escalation a
partire da ottobre 2023, quando un attacco a sorpresa di Hamas (il gruppo
islamista che controlla Gaza) causò la morte di circa 1.300 israeliani e il
rapimento di centinaia di civili. In risposta Israele lanciò una guerra su
vasta scala contro Hamas nella Striscia di Gaza dichiarando l’intento di
annientare il gruppo e liberare gli ostaggi. Ne sono seguiti due anni di
combattimenti intensi: l’esercito israeliano ha condotto offensive ripetute in
varie zone di Gaza – da Gaza City a Khan Yunis fino al campo profughi di Jabaliya
– con incursioni terrestri, bombardamenti aerei e assedi localizzati. Hamas, dal
canto suo, ha continuato a lanciare razzi e a opporre resistenza attraverso una
fitta rete di tunnel e combattenti celati tra la popolazione. Il bilancio umano
è stato pesantissimo: si stima che oltre 67.000 palestinesi siano rimasti
uccisi a Gaza dall’inizio della guerra, quasi un terzo dei quali minorenni.
Anche le infrastrutture civili sono state devastate: almeno il 94% degli
ospedali di Gaza è stato distrutto o danneggiato e la popolazione ha affrontato
condizioni vicine alla carestia a causa del blocco totale degli aiuti imposto
durante le fasi più acute del conflitto. L’ONU riferisce che circa 1,9 milioni
di residenti (quasi il 90% della popolazione della Striscia) sono sfollati
interni e versano in grave emergenza umanitaria, senza accesso regolare a cibo,
acqua potabile e servizi essenziali. Dopo numerosi tentativi di tregua falliti
nei mesi precedenti – un primo cessate il fuoco di una settimana a fine
novembre 2023 e un accordo mediato a gennaio 2025, entrambi collassati presto –
nell’ottobre 2025 si è finalmente giunti a una tregua significativa. Il 9
ottobre 2025 è entrato in vigore un cessate il fuoco come parte iniziale di un
piano di pace in venti punti sponsorizzato dagli Stati Uniti. In base a questo
accordo Israele ha fermato le operazioni militari e gradualmente ritirato le
truppe da circa la metà del territorio di Gaza, mentre Hamas ha accettato di
rilasciare tutti gli ostaggi israeliani ancora in vita in suo possesso nel giro
di 72 ore, ottenendo in cambio la liberazione di centinaia di detenuti
palestinesi dalle carceri israeliane. Il cessate il fuoco ha permesso anche di
far entrare un flusso molto maggiore di aiuti umanitari a Gaza attraverso il
valico di Rafah con l’Egitto, parzialmente riaperto dopo mesi di chiusura.
Sebbene nelle settimane seguenti non siano mancati episodi di tensione e
reciproche accuse di violazione – con sporadici scontri armati che hanno
causato alcune centinaia di vittime nonostante la tregua – nel complesso il
fragile accordo ha retto, ponendo fine alle battaglie su larga scala a Gaza. La
situazione sul terreno è dunque di calma relativa a novembre 2025: la guerra
aperta è sospesa, ma la ricostruzione è appena agli inizi e la stabilità futura
rimane incerta.
2.
Tensioni
e violenze in Cisgiordania
Parallelamente
alla guerra di Gaza anche la Cisgiordania (territorio palestinese occupato da
Israele dal 1967) ha vissuto un sensibile deterioramento della sicurezza. A
fine 2022 in Israele si è insediato un governo di coalizione guidato da forze
nazionaliste e religiose di destra che ha posto l’accento sull’espansione delle
colonie israeliane in Cisgiordania. Questo ha alimentato un clima esplosivo:
gli insediamenti dei coloni, illegali per il diritto internazionale ma
sostenuti dal nuovo esecutivo, hanno intensificato frizioni e scontri con le
comunità palestinesi locali. Dall’inizio del conflitto di Gaza la violenza in
Cisgiordania è ulteriormente aumentata. L’ONU stima che nei primi 14 mesi di
guerra (da ottobre 2023 a fine 2024) si siano verificati almeno 1.860 episodi
di violenza nei territori cisgiordani – dagli scontri tra giovani palestinesi e
forze israeliane ai veri e propri attacchi dei coloni contro i villaggi –
concentrati soprattutto nelle aree di Nablus, Ramallah e Hebron. A gennaio 2025
l’esercito israeliano ha lanciato un’operazione su larga scala nel nord della
Cisgiordania, denominata Operazione Iron Wall, mirata a colpire gruppi
militanti palestinesi nei campi profughi di Jenin e dintorni. Tale campagna ha
causato la più grave crisi di sfollati interni in Cisgiordania dal 1967: 30.000
palestinesi costretti ad abbandonare le proprie case e almeno 126 i morti nei
combattimenti, secondo dati delle Nazioni Unite. Un elemento particolarmente
preoccupante è la crescita delle violenze da parte dei coloni israeliani
ultranazionalisti contro i civili palestinesi. Raid e attacchi vandalici ai
villaggi – talvolta con incendi di case, uliveti distrutti, aggressioni fisiche
e persino sparatorie – si sono moltiplicati, spesso in presenza passiva (o con
ritardo di intervento) delle forze di sicurezza israeliane. Nell’ottobre 2025
il numero di attacchi compiuti da coloni in Cisgiordania ha raggiunto un picco
di 264 in un solo mese, il dato mensile più alto mai registrato dall’ONU da
quando esiste un monitoraggio sistematico (2006). Questa impennata di violenze
sta sollevando forte allarme presso la comunità internazionale poiché rischia
di destabilizzare ulteriormente la situazione e di estendersi ad aree finora relativamente
tranquille. Il governo israeliano ha promesso provvedimenti per arginare gli
elementi più estremisti tra i coloni, ma secondo le organizzazioni per i
diritti umani israeliane la maggior parte di questi abusi resta impunita,
alimentando un senso di impunità e vendetta. La Cisgiordania, dunque, resta una
polveriera: pur lontana dai riflettori mediatici puntati su Gaza, qui si gioca
una parte cruciale del futuro della regione, dato che senza stabilità in
Cisgiordania qualsiasi prospettiva di pace complessiva israelo-palestinese
risulta difficilmente realizzabile. Roberto Rapaccini
(SEGUE)