Il
Medio Oriente del 2025 è interessato da importanti cambiamenti, scosse
geopolitiche e da un riassetto costante degli equilibri, attraverso riallineamenti
politici, nuove alleanze e un ordine regionale instabile, condizionato dalla
presenza di attori esterni quali Stati Uniti, Russia, Cina e Turchia. In questo
scenario uno degli elementi centrali è l’arretramento delle pretese egemoniche
dell’Iran. La caduta del regime di Bashar al-Assad in Siria, fondamentale
alleato di Teheran, ha rappresentato un colpo durissimo per la sua proiezione
regionale, mentre le crescenti difficoltà di Hezbollah in Libano e di Hamas a
Gaza – strumenti attraverso cui Teheran perseguiva i propri interessi senza un
coinvolgimento diretto – hanno contribuito a sgretolare la cosiddetta mezzaluna
sciita, quell’arco di influenza che si estendeva idealmente da Teheran fino al
Mediterraneo passando per Iraq, Siria e Palestina. Per far fronte a questo
ridimensionamento, l’Iran ha intensificato il coordinamento strategico con
Russia e Cina. In particolare, nel gennaio 2025 ha formalizzato un trattato di
partenariato con Mosca per rafforzare la cooperazione bilaterale in numerosi
ambiti, tra cui sicurezza, tecnologia e collaborazione nell'energia nucleare a
fini pacifici. Questo accordo rappresenta un passaggio significativo nel
consolidamento delle relazioni tra i due Paesi. Teheran ha continuato a
sostenere i ribelli Houthi nello Yemen, i cui attacchi nel Mar Rosso hanno
avuto ripercussioni significative sui traffici marittimi e sul commercio
globale, mentre l’invio di droni al governo sudanese, in pieno conflitto
civile, rappresenta un tentativo di estendere l’influenza iraniana anche nel
Corno d’Africa. La Turchia ha saputo colmare il vuoto lasciato dalla
dissoluzione dell’apparato statale siriano, consolidando il controllo sul nord
del Paese mediante milizie sunnite sotto la propria influenza, assumendo il
ruolo di garante della sicurezza. Tra gli obiettivi di Ankara vi è la creazione
di una zona cuscinetto per tenere lontani gruppi armati curdi e prevenire
flussi di rifugiati verso il proprio territorio. Sul piano internazionale la
Turchia ha rafforzato i legami con gli Stati Uniti, proponendosi tra gli
interlocutori nella gestione del conflitto russo-ucraino e posizionandosi come
partner strategico nel contenimento dell’influenza iraniana. Al contempo,
mantiene rapporti pragmatici con la Russia, soprattutto in ambito energetico e
militare, e ambisce a un ruolo di mediatore regionale, anche attraverso
un’attiva diplomazia, nei Balcani e nel Caucaso. L’Arabia Saudita ha optato per
un approccio più diplomatico, rinunciando a interventismi diretti e scegliendo
di assumere il ruolo di mediatore tra Washington e Teheran, nella speranza di
riportare l’Iran al tavolo delle trattative sul nucleare e prevenire
un’escalation con Israele. Ha inoltre consolidato i rapporti con Mosca, in
particolare nel settore della difesa aerea e dell’energia, manifestando una
crescente autonomia dal tradizionale alleato statunitense. A livello
multilaterale Riad ha sostenuto con forza la soluzione a due Stati per la
questione israelo-palestinese, impegnandosi anche in mediazioni. Israele si
trova in una condizione di rischio di isolamento politico. Le operazioni
militari in corso a Gaza contro Hamas, fondate principalmente sulla sicurezza e
prive di una gestione più lungimirante della crisi, stanno provocando un
elevato numero di vittime civili e un’ ondata di condanne internazionali. Israele,
oltre a dover affrontare lo stallo nel processo di normalizzazione con l’Arabia
Saudita, registra un raffreddamento nei rapporti con gli Stati Uniti, che
condizionano il loro sostegno politico alla richiesta di un approccio più
equilibrato a Gaza. Gli Stati Uniti stanno ricalibrando la propria postura in
Medio Oriente, puntando su un coinvolgimento più selettivo, privilegiando
alleanze con partner affidabili e cercando di evitare l’apertura di nuovi
teatri di crisi. La priorità sembra essere quella di prevenire un’escalation
diretta tra Iran e Israele, mantenendo al tempo stesso un saldo legame con le
monarchie del Golfo, in particolare con l’Arabia Saudita. In questo contesto la
partecipazione americana a un vertice con la Russia in Arabia Saudita per
discutere del conflitto in Ucraina – escludendo però l’Ucraina – ha reso
evidente la volontà statunitense di chiudere alcune partite geopolitiche per
concentrare risorse e attenzione sul confronto strategico con la Cina. La
Russia, pur avendo perso una parte significativa della propria influenza in
Siria, continua a operare nella regione attraverso una presenza militare
ridotta ma ancora attiva e una diplomazia agile, puntando sul rafforzamento dei
rapporti con Teheran e Riad per mantenere un ruolo strategico e negoziale. La
firma del trattato con l’Iran, di cui si è detto, ne è una chiara testimonianza.
Altrettanto incisiva è la strategia della Cina, che persegue una penetrazione
sistematica e discreta nella regione attraverso il commercio, gli investimenti
infrastrutturali e una cooperazione militare ancora contenuta ma in espansione.
L’incremento degli scambi con i Paesi del Golfo e le esercitazioni congiunte
con Iran e Russia nel Golfo di Oman segnalano un crescente interesse cinese per
la sicurezza marittima e l’accesso alle risorse energetiche. In definitiva, il
Medio Oriente del 2025 si trova al centro di una transizione profonda: le
vecchie alleanze si indeboliscono, nuovi attori regionali come la Turchia
acquisiscono centralità, e le grandi potenze globali cercano di rimodellare il
proprio ruolo in un contesto sempre più multipolare. In un ambiente così fluido
e interconnesso, il rischio che le tensioni regionali si intreccino con le
rivalità tra potenze globali è elevato, e la regione potrebbe trasformarsi in
un epicentro di instabilità cronica. Le prospettive future dipendono dalla
capacità degli attori coinvolti di superare logiche di confronto diretto e
investire invece in modelli cooperativi e sostenibili. L’indebolimento
dell’Iran e la frammentazione dell’Asse della Resistenza potrebbero
teoricamente aprire spazi per un nuovo ordine regionale, ma resta concreto il
rischio che Teheran reagisca con aggressività, ricorrendo a strumenti
asimmetrici come il sabotaggio, la guerra per procura o le operazioni
cibernetiche, specie se percepirà il proprio isolamento come strategico e
irreversibile. In parallelo, la Turchia occupa una posizione chiave: se
sceglierà di agire come forza equilibratrice, potrà contribuire alla
costruzione di un nuovo sistema di sicurezza multilaterale; ma se prevarranno
ambizioni egemoniche o revisioniste, si riapriranno tensioni, in particolare
con i curdi, in Libia e nel Mediterraneo orientale. Quanto alle potenze
esterne, gli Stati Uniti appaiono intenzionati a ridefinire la propria presenza
nella regione, ma senza una strategia coerente di lungo periodo rischiano di lasciare
un vuoto che altri – in primis la Cina – potrebbero colmare. La Russia
continuerà a esercitare un’influenza tattica e diplomatica, mentre la Cina
sembra destinata a diventare l’attore esterno più stabile nel lungo termine,
costruendo la propria presenza attraverso strumenti economici, tecnologici e
geopolitici che non richiedono l’impiego diretto della forza militare. Il
futuro del Medio Oriente si giocherà, in ultima analisi, sulla capacità dei
suoi protagonisti – locali e globali – di costruire architetture di
cooperazione duratura. In caso contrario, l’area continuerà a rappresentare non
solo un teatro di crisi regionali, ma anche un crocevia pericoloso delle
rivalità sistemiche tra le grandi potenze del XXI secolo.
Grammatica del mondo islamico, Medio Oriente, dialogo interreligioso, interetnico e multiculturale, questioni di geopolitica, immigrazione.
PAESI DELLA LEGA ARABA

TESTO SC.
venerdì 6 giugno 2025
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