RASSEGNA STAMPA S.

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PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

venerdì 6 giugno 2025

IL MEDIO ORIENTE NEL NUOVO ORDINE MULTIPOLARE: LE ALLEANZE, I CONFLITTI E LE PROSPETTIVE



Il Medio Oriente del 2025 è interessato da importanti cambiamenti, scosse geopolitiche e da un riassetto costante degli equilibri, attraverso riallineamenti politici, nuove alleanze e un ordine regionale instabile, condizionato dalla presenza di attori esterni quali Stati Uniti, Russia, Cina e Turchia. In questo scenario uno degli elementi centrali è l’arretramento delle pretese egemoniche dell’Iran. La caduta del regime di Bashar al-Assad in Siria, fondamentale alleato di Teheran, ha rappresentato un colpo durissimo per la sua proiezione regionale, mentre le crescenti difficoltà di Hezbollah in Libano e di Hamas a Gaza – strumenti attraverso cui Teheran perseguiva i propri interessi senza un coinvolgimento diretto – hanno contribuito a sgretolare la cosiddetta mezzaluna sciita, quell’arco di influenza che si estendeva idealmente da Teheran fino al Mediterraneo passando per Iraq, Siria e Palestina. Per far fronte a questo ridimensionamento, l’Iran ha intensificato il coordinamento strategico con Russia e Cina. In particolare, nel gennaio 2025 ha formalizzato un trattato di partenariato con Mosca per rafforzare la cooperazione bilaterale in numerosi ambiti, tra cui sicurezza, tecnologia e collaborazione nell'energia nucleare a fini pacifici. Questo accordo rappresenta un passaggio significativo nel consolidamento delle relazioni tra i due Paesi. Teheran ha continuato a sostenere i ribelli Houthi nello Yemen, i cui attacchi nel Mar Rosso hanno avuto ripercussioni significative sui traffici marittimi e sul commercio globale, mentre l’invio di droni al governo sudanese, in pieno conflitto civile, rappresenta un tentativo di estendere l’influenza iraniana anche nel Corno d’Africa. La Turchia ha saputo colmare il vuoto lasciato dalla dissoluzione dell’apparato statale siriano, consolidando il controllo sul nord del Paese mediante milizie sunnite sotto la propria influenza, assumendo il ruolo di garante della sicurezza. Tra gli obiettivi di Ankara vi è la creazione di una zona cuscinetto per tenere lontani gruppi armati curdi e prevenire flussi di rifugiati verso il proprio territorio. Sul piano internazionale la Turchia ha rafforzato i legami con gli Stati Uniti, proponendosi tra gli interlocutori nella gestione del conflitto russo-ucraino e posizionandosi come partner strategico nel contenimento dell’influenza iraniana. Al contempo, mantiene rapporti pragmatici con la Russia, soprattutto in ambito energetico e militare, e ambisce a un ruolo di mediatore regionale, anche attraverso un’attiva diplomazia, nei Balcani e nel Caucaso. L’Arabia Saudita ha optato per un approccio più diplomatico, rinunciando a interventismi diretti e scegliendo di assumere il ruolo di mediatore tra Washington e Teheran, nella speranza di riportare l’Iran al tavolo delle trattative sul nucleare e prevenire un’escalation con Israele. Ha inoltre consolidato i rapporti con Mosca, in particolare nel settore della difesa aerea e dell’energia, manifestando una crescente autonomia dal tradizionale alleato statunitense. A livello multilaterale Riad ha sostenuto con forza la soluzione a due Stati per la questione israelo-palestinese, impegnandosi anche in mediazioni. Israele si trova in una condizione di rischio di isolamento politico. Le operazioni militari in corso a Gaza contro Hamas, fondate principalmente sulla sicurezza e prive di una gestione più lungimirante della crisi, stanno provocando un elevato numero di vittime civili e un’ ondata di condanne internazionali. Israele, oltre a dover affrontare lo stallo nel processo di normalizzazione con l’Arabia Saudita, registra un raffreddamento nei rapporti con gli Stati Uniti, che condizionano il loro sostegno politico alla richiesta di un approccio più equilibrato a Gaza. Gli Stati Uniti stanno ricalibrando la propria postura in Medio Oriente, puntando su un coinvolgimento più selettivo, privilegiando alleanze con partner affidabili e cercando di evitare l’apertura di nuovi teatri di crisi. La priorità sembra essere quella di prevenire un’escalation diretta tra Iran e Israele, mantenendo al tempo stesso un saldo legame con le monarchie del Golfo, in particolare con l’Arabia Saudita. In questo contesto la partecipazione americana a un vertice con la Russia in Arabia Saudita per discutere del conflitto in Ucraina – escludendo però l’Ucraina – ha reso evidente la volontà statunitense di chiudere alcune partite geopolitiche per concentrare risorse e attenzione sul confronto strategico con la Cina. La Russia, pur avendo perso una parte significativa della propria influenza in Siria, continua a operare nella regione attraverso una presenza militare ridotta ma ancora attiva e una diplomazia agile, puntando sul rafforzamento dei rapporti con Teheran e Riad per mantenere un ruolo strategico e negoziale. La firma del trattato con l’Iran, di cui si è detto, ne è una chiara testimonianza. Altrettanto incisiva è la strategia della Cina, che persegue una penetrazione sistematica e discreta nella regione attraverso il commercio, gli investimenti infrastrutturali e una cooperazione militare ancora contenuta ma in espansione. L’incremento degli scambi con i Paesi del Golfo e le esercitazioni congiunte con Iran e Russia nel Golfo di Oman segnalano un crescente interesse cinese per la sicurezza marittima e l’accesso alle risorse energetiche. In definitiva, il Medio Oriente del 2025 si trova al centro di una transizione profonda: le vecchie alleanze si indeboliscono, nuovi attori regionali come la Turchia acquisiscono centralità, e le grandi potenze globali cercano di rimodellare il proprio ruolo in un contesto sempre più multipolare. In un ambiente così fluido e interconnesso, il rischio che le tensioni regionali si intreccino con le rivalità tra potenze globali è elevato, e la regione potrebbe trasformarsi in un epicentro di instabilità cronica. Le prospettive future dipendono dalla capacità degli attori coinvolti di superare logiche di confronto diretto e investire invece in modelli cooperativi e sostenibili. L’indebolimento dell’Iran e la frammentazione dell’Asse della Resistenza potrebbero teoricamente aprire spazi per un nuovo ordine regionale, ma resta concreto il rischio che Teheran reagisca con aggressività, ricorrendo a strumenti asimmetrici come il sabotaggio, la guerra per procura o le operazioni cibernetiche, specie se percepirà il proprio isolamento come strategico e irreversibile. In parallelo, la Turchia occupa una posizione chiave: se sceglierà di agire come forza equilibratrice, potrà contribuire alla costruzione di un nuovo sistema di sicurezza multilaterale; ma se prevarranno ambizioni egemoniche o revisioniste, si riapriranno tensioni, in particolare con i curdi, in Libia e nel Mediterraneo orientale. Quanto alle potenze esterne, gli Stati Uniti appaiono intenzionati a ridefinire la propria presenza nella regione, ma senza una strategia coerente di lungo periodo rischiano di lasciare un vuoto che altri – in primis la Cina – potrebbero colmare. La Russia continuerà a esercitare un’influenza tattica e diplomatica, mentre la Cina sembra destinata a diventare l’attore esterno più stabile nel lungo termine, costruendo la propria presenza attraverso strumenti economici, tecnologici e geopolitici che non richiedono l’impiego diretto della forza militare. Il futuro del Medio Oriente si giocherà, in ultima analisi, sulla capacità dei suoi protagonisti – locali e globali – di costruire architetture di cooperazione duratura. In caso contrario, l’area continuerà a rappresentare non solo un teatro di crisi regionali, ma anche un crocevia pericoloso delle rivalità sistemiche tra le grandi potenze del XXI secolo.