RASSEGNA STAMPA S.

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PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

mercoledì 4 giugno 2025

CRISI DI STRATEGIA E LEGITTIMITÀ: L’ISOLAMENTO CRESCENTE DI ISRAELE

 




L’attuale gestione del conflitto nella Striscia di Gaza solleva interrogativi, non solo sulla strategia militare adottata dal governo israeliano ma sul futuro stesso di Israele come democrazia. Dalla nascita della nazione non si era mai assistito a una guerra così priva di direzione politica, obiettivi definiti, coerenza operativa. La campagna militare guidata dal primo ministro Netanyahu ha evidenziato un grado di disorganizzazione inedito. Le forze armate israeliane, impegnate in aree urbane già devastate dai combattimenti, si ritrovano coinvolte in incursioni ripetitive e inefficaci, con gravi perdite militari e un numero impressionante di vittime civili. Azioni in zone come Gaza City, Jabalia e Khan Yunis, non sono caratterizzate da un progresso strategico, ma solo da un crescente  logoramento. Invece di disarticolare Hamas, l’effetto più tangibile delle azioni israeliane è l’aggravarsi della crisi umanitaria, con il rischio che le operazioni diventino una campagna punitiva, svincolata dai principi della legittima difesa, sempre più identificabile con la volontà di annichilimento del nemico anche a costo di sacrificare innocenti. L’allarme proviene anche da Stati tradizionalmente vicini a Israele come Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Italia e Canada. Il presidente Macron ha espresso pubblicamente preoccupazioni per una deriva che potrebbe isolare Israele a livello globale. Fino a pochi mesi fa, si poteva ancora sostenere che l’alto numero di vittime civili fosse frutto di errori tragici e scelte militari discutibili. Oggi, alla luce di dichiarazioni pubbliche rilasciate da personaggi politici — che parlano apertamente della necessità di affamare Gaza o che equiparano l’intera popolazione palestinese a Hamas — questa narrazione risulta sempre meno difendibile. L’adozione di misure come il blocco degli aiuti umanitari essenziali, l’ostruzione sistematica di convogli sanitari, o la distruzione di infrastrutture civili, non può essere giustificata né come necessità bellica né come errore logistico. Si configura sempre più chiaramente come una forma di punizione collettiva, vietata dal diritto internazionale. Quando esponenti di governo invocano apertamente l’annientamento di intere comunità o la distruzione sistematica di villaggi, si oltrepassa il confine che separa la retorica bellica dalla complicità in crimini gravi. Questa radicalizzazione politica non è soltanto pericolosa per chi ne è bersaglio, ma mina alle fondamenta l’identità democratica di Israele. Non si può invocare la legittima difesa mentre si violano sistematicamente norme internazionali e principi umanitari. Anche sul piano interno la società israeliana vive un momento di crescente lacerazione. L’unità nazionale, spesso elemento di coesione in tempi di guerra, oggi appare fragile. Sempre più cittadini esprimono sfiducia verso un governo percepito come incapace di esprimere una visione comune. In Cisgiordania la violenza da parte di coloni estremisti si è intensificata. Episodi di aggressione, incendi dolosi, e vere e proprie dichiarazioni di pulizia etnica sono spesso minimizzati. Anche in questo caso la responsabilità delle istituzioni è evidente: uno Stato democratico non può restare in silenzio di fronte a manifestazioni pubbliche che inneggiano alla distruzione di intere comunità. Preoccupano anche le notizie su comportamenti irregolari da parte delle truppe: uso eccessivo della forza, demolizioni arbitrarie, episodi di saccheggio. Si tratta di fatti che non solo violano i codici militari, ma compromettono la credibilità dell’esercito israeliano, storicamente percepito come un’istituzione professionale e rigorosa. Servono inchieste serie, indipendenti, e un impegno concreto per riaffermare la legalità all’interno delle forze armate. Pertanto Israele si trova davanti a un bivio. Proseguire su questa strada significa avviarsi verso un isolamento diplomatico crescente, una crisi morale interna, e possibili conseguenze legali sul piano internazionale. Ma non tutto è perduto. È ancora possibile invertire la rotta, ristabilire il primato del diritto, rientrare in un quadro di legalità internazionale e ricostruire una politica estera e interna basata su valori condivisi. Serve un cambiamento profondo, non solo tattico ma politico e culturale. Occorre recuperare una leadership che abbia il coraggio di riconoscere gli errori, di ascoltare le critiche sincere e di costruire un futuro che non si fondi sull’eterna guerra, ma sulla coesistenza, la sicurezza reciproca e la dignità umana.