RASSEGNA STAMPA S.

RASSEGNA STAMPA S.
Clicca sull'immagine
• Il Passato sarà un buon rifugio, ma il Futuro è l'unico posto dove possiamo andare. (Renzo Piano) •

PAESI DELLA LEGA ARABA

PAESI DELLA LEGA ARABA

TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

martedì 13 maggio 2025

È LO YEMEN, IL VERO NODO STRATEGICO TRA TEHERAN, WASHINGTON E TEL AVIV

 

La crescente tensione tra Iran, Stati Uniti, Israele e i gruppi armati attivi in Yemen non riguarda solo conflitti regionali, ma riflette una più ampia lotta di potere globale e una gestione complessa delle politiche estere in una regione strategicamente cruciale per le risorse energetiche e i corridoi marittimi internazionali. Gli sviluppi in Yemen vanno quindi interpretati all’interno di un contesto più ampio di competizione per l’influenza in Medio Oriente. La posizione degli Stati Uniti resta delicata: da un lato Washington continua a sostenere i propri alleati storici, come Israele e l’Arabia Saudita; dall’altro è impegnata in un difficile tentativo di riavviare i negoziati sul nucleare con Teheran, dopo il fallimento del JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action - è l’accordo sul nucleare del 2015) e la recrudescenza delle tensioni seguite al 2024, con attacchi incrociati tra Israele e gruppi filo-iraniani nella regione, nonché sospetti sabotaggi reciproci tra Teheran e Tel Aviv. La crescente ostilità ha contribuito a congelare ogni prospettiva di dialogo diretto aumentando il rischio di escalation. La politica americana oscilla tra la necessità di rassicurare i partner regionali e quella di non compromettere i canali diplomatici con l’Iran. Alcuni segnali recenti indicano una possibile rimodulazione del sostegno operativo alla coalizione a guida saudita in Yemen, specialmente dopo le critiche per l’impatto umanitario del conflitto. Israele, pur non direttamente coinvolto in operazioni terrestri nello Yemen, ha intensificato la propria attenzione sulla sicurezza del Mar Rosso a seguito degli attacchi Houthi contro navi commerciali e cargo legati a interessi israeliani o occidentali. Gli Houthi hanno infatti rivendicato attacchi mirati, giustificati come rappresaglia per il conflitto in Gaza e per il sostegno occidentale a Israele. Tel Aviv ha quindi rafforzato la cooperazione con Stati Uniti e Regno Unito in ambito di intelligence e pattugliamento navale. Questa crescente militarizzazione dello stretto di Bab el-Mandeb – uno dei chokepoint marittimi più importanti al mondo – evidenzia come lo Yemen sia ormai parte integrante di una rete globale di conflitti asimmetrici. Un eventuale blocco di questo stretto comprometterebbe il flusso energetico globale con ripercussioni su prezzi e stabilità dei mercati internazionali. Con il termine chokepoint (in italiano: collo di bottiglia strategico o punto di strozzatura) convenzionalmente si intende uno stretto passaggio geografico – terrestre o marittimo – attraverso cui transitano merci o risorse vitali, e la cui interruzione può avere conseguenze economiche e strategiche globali. Quello di  Bab el-Mandeb è uno dei più critici del mondo, perché è un tratto di mare che collega il Mar Rosso al Golfo di Aden e quindi all’Oceano Indiano; è anche  un passaggio obbligato per le navi che trasportano petrolio, gas e merci tra Europa, Asia e Africa. Vi transitano ogni giorno milioni di barili di greggio, ma è vulnerabile a blocchi o attacchi da parte di gruppi armati (come gli Houthi), che possono alterare il flusso commerciale globale e influenzare i prezzi dell’energia. In ambito geopolitico controllare un chokepoint significa avere un'influenza enorme su rotte commerciali e militari: ecco perché è oggetto di interesse anche da parte di potenze come gli USA, la Cina e anche Israele. Tornando alla questione principale, l’Iran continua a fornire supporto politico, tecnico e – secondo diverse fonti – anche militare ai ribelli Houthi nel quadro di una strategia di contenimento della presenza americana e saudita nella regione. Teheran si presenta come paladino dei movimenti di resistenza e sfrutta il conflitto yemenita per rafforzare la propria proiezione regionale, mantenendo però una certa ambiguità strategica per evitare un confronto diretto su larga scala. Questa posizione ha un costo: l’Iran rischia di compromettere le aperture diplomatiche con i Paesi del Golfo, avviate grazie alla mediazione cinese. Memorabile, in tal senso, è stato l’accordo Iran-Arabia Saudita del 2023, attraverso il quale i due storici rivali hanno annunciato la ripresa delle relazioni diplomatiche dopo sette anni di rottura. L’intesa, siglata a Pechino, ha previsto la riapertura delle ambasciate, l’impegno a non interferire negli affari interni e a rispettare la sovranità reciproca. Si è trattato non solo di un importante passo bilaterale, ma anche di un segnale della capacità della Cina di giocare un ruolo da mediatore in una regione dominata tradizionalmente dalla diplomazia statunitense. Tuttavia, nonostante il  valore simbolico dell’accordo, le divergenze strategiche tra Teheran e Riyad permangono, e i teatri di scontro, come lo Yemen, continuano a essere campi di prova per la reale tenuta della distensione diplomatica. La Cina ha rafforzato il suo ruolo in Medio Oriente, sia come mediatore sia come attore economico e militare. La base a Gibuti – a pochi chilometri dallo Yemen – offre a Pechino una posizione privilegiata per influenzare la sicurezza marittima. Al contempo, la Cina ha ampliato i propri interessi nella regione con investimenti infrastrutturali e accordi energetici, presentandosi come alternativa alla presenza occidentale. Questo coinvolgimento va letto anche come parte di una più ampia architettura multipolare che si sta delineando in un sistema internazionale in cui le alleanze sono più fluide e i Paesi del Golfo si aprono a nuove forme di partenariato meno vincolate alle tradizionali sfere d’influenza. Sebbene alcuni cessate il fuoco temporanei, come quelli mediati da Oman e Nazioni Unite, abbiano offerto brevi tregue umanitarie, il conflitto resta lontano da una risoluzione stabile. Il sostegno esterno ai vari attori yemeniti – tra cui Houthi, forze filogovernative e gruppi separatisti nel sud – frammenta il quadro interno e impedisce la costruzione di una leadership unificata e legittima. In questo contesto la figura dell’Oman emerge come unica voce neutrale capace di interagire con tutte le parti in causa, sia sul fronte yemenita che sul dossier iraniano. Tuttavia, senza un sostegno della comunità internazionale, questi sforzi rischiano di restare isolati. L’intervento di attori internazionali solleva inoltre interrogativi sulla legittimità delle operazioni militari in un contesto già fortemente destabilizzato.  Se il sostegno americano alla coalizione araba dovesse continuare senza una strategia chiara di disimpegno o dialogo parallelo, è possibile un inasprimento dello scontro con l’Iran, compromettendo i negoziati sul nucleare. Il rischio di un’escalation che coinvolga direttamente potenze regionali come l’Arabia Saudita rappresenta una delle minacce più gravi alla sicurezza della regione. Il conflitto yemenita è ormai ben oltre la sua dimensione originaria di guerra civile. È divenuto il teatro di una competizione strategica tra potenze regionali e globali, in cui il destino dello Yemen è spesso subordinato a interessi esterni. Solo un processo di pace svincolato dalle logiche di potenza, con un forte coinvolgimento delle comunità locali e una reale volontà di disimpegno da parte degli attori stranieri, potrà aprire la strada a una soluzione duratura. Una diplomazia multilaterale robusta, che metta al centro la popolazione civile yemenita piuttosto che gli equilibri geopolitici, rappresenta l’unica via credibile per uscire dal conflitto. In conclusione, mentre il conflitto yemenita rimane un nodo geopolitico di primaria importanza, il cammino verso la pace richiede un approccio inclusivo, realistico e non condizionato da imperativi strategici estranei al contesto locale.          RR