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PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

martedì 1 aprile 2025

IL RITORNO DEL TERRORISMO JIHADISTA? POSSIBILE, NON È SCOMPARSO MA MUTATO


Negli ultimi anni, dopo il crollo del Califfato dell’ISIS in Siria e in Iraq (2017-2019), l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale verso il terrorismo islamista è andata progressivamente diminuendo. Tuttavia l’idea che il jihadismo globale sia stato definitivamente sconfitto si rivela oggi un’illusione ottimistica. Benché mutato rispetto al suo apice – raggiunto tra il 2014 e il 2017 – il terrorismo islamico non è affatto scomparso: ha invece cambiato pelle, adottando nuove strategie, nuovi teatri operativi e nuove forme di comunicazione e radicalizzazione. I principali gruppi jihadisti – lo Stato Islamico (ISIS) e Al-Qaeda – hanno subìto una grande metamorfosi strutturale. In particolare, la caduta del Califfato territoriale in Siria e Iraq ha rappresentato un punto di svolta fondamentale. Dopo aver conquistato ampie porzioni di territorio tra Mosul e Raqqa, l’ISIS si era presentato non solo come gruppo terroristico, ma come una vera e propria entità statale alternativa: dotata di un apparato amministrativo rudimentale, di un sistema fiscale, di tribunali islamici, di forze di polizia religiosa, di scuole e perfino di servizi sanitari. Questa dimensione statuale aveva una notevole valenza simbolica, propagandistica e strategica, presentandosi come risposta al disordine del mondo arabo e alla marginalizzazione dei sunniti. L’offensiva militare internazionale della coalizione a guida statunitense, sostenuta da forze curde e governative, ha progressivamente smantellato questa esperienza statuale. La perdita di Raqqa (2017) e di Baghouz (2019), ultime roccaforti territoriali, ha segnato la caduta del Califfato. Tuttavia, questo non ha comportato la fine dello Stato Islamico, bensì una sua profonda metamorfosi. Costretto ad abbandonare l’idea di uno Stato centralizzato, l’ISIS ha avviato una riorganizzazione strategica su scala globale, evolvendo in un network transnazionale e decentralizzato. Lontano dal centro siriano-iracheno (pur mantenendovi cellule attive), il gruppo ha disperso i propri combattenti in molteplici teatri operativi e ha iniziato ad affiliarsi con gruppi jihadisti locali, creando una rete che opera sotto il suo marchio ideologico. L’ISIS ha investito in contesti fragili, caratterizzati da instabilità politica, crisi umanitarie e assenza di controllo statale, come l’Africa occidentale e il Sahel, il Mozambico settentrionale, l’Afghanistan, la Libia, il Sinai, il Congo, il  Pakistan, le  Filippine, e altre aree dove cellule locali si sono affiliate, più o meno formalmente, al network. In questi scenari l’ISIS ha saputo adattarsi alle dinamiche locali, sfruttando tensioni etniche, rivalità religiose e marginalizzazione sociale per radicarsi nel tessuto territoriale. Questa decentralizzazione operativa ha reso l’ISIS meno visibile ma più resiliente, difficile da sradicare e capace di rigenerarsi attraverso un modello di franchising del jihadismo globale. In competizione – e in certi contesti anche in parallelo – con Al-Qaeda, l’ISIS ha mantenuto viva una visione globalizzata della jihad, non più finalizzata alla creazione di un unico califfato fisico, ma alla diffusione di un’ideologia combattente in grado di ispirare azioni locali. Le sue capacità si misurano oggi non più in chilometri quadrati, ma in cellule dormienti, in attacchi terroristici, in operazioni di guerriglia, in impatto ideologico. Le branche regionali dei principali gruppi jihadisti sono protagoniste in molte aree instabili. Nell’Africa subsahariana l’ISIS e Al-Qaeda si contendono territori e influenze. In Nigeria Boko Haram e l’ISWAP (Islamic State West Africa Province, Provincia dello Stato Islamico dell’Africa Occidentale) continuano a insanguinare il Paese. Nel Sahel gruppi affiliati ad Al-Qaeda come il JNIM (Jama'at Nusrat al-Islam wal-Muslimin, Gruppo di supporto all’Islam e ai musulmani), alimentano l’insicurezza e l’erosione dell’autorità statale. In Mozambico la provincia di Cabo Delgado è stata teatro di un’insurrezione jihadista legata all’ISIS, minacciando anche interessi energetici internazionali. In Afghanistan il ritorno dei Talebani non ha pacificato il Paese: l’ISIS-K ha accresciuto la sua attività terroristica, colpendo sia i Talebani sia le minoranze sciite e gli interessi stranieri. Questi casi mostrano come il jihadismo oggi non punti più al controllo di capitali o alla proclamazione formale di un califfato, ma preferisca agire attraverso forme di guerriglia asimmetrica, sfruttando le debolezze statali, i vuoti di potere, le fratture sociali esistenti. In Europa la minaccia si è trasformata. Se nei primi anni del 2010 si assisteva a grandi attacchi coordinati – Parigi (2015), Bruxelles (2016), Manchester (2017) – oggi si registra un passaggio a forme di terrorismo individuale. I cosiddetti lupi solitari sono per lo più giovani radicalizzati attraverso internet, spesso con precedenti penali o disagi psichici, che agiscono ispirati dalla propaganda jihadista pur senza legami diretti con organizzazioni strutturate. I gravi episodi in Francia (Parigi e  Arras, 2023), in Germania (Solingen, 2024) e in Belgio (Liegi, 2018 - Bruxelles, 2023)  testimoniano come il jihadismo resti una minaccia endemica, soprattutto nelle periferie urbane segnate da disagio sociale e crisi identitaria. A ciò si aggiunge il rischio crescente di radicalizzazione all’interno delle carceri, dove la narrativa jihadista può offrire un senso di appartenenza e rivalsa a soggetti vulnerabili. La retorica jihadista continua a trovare canali di diffusione, nonostante le limitazioni imposte dalle piattaforme digitali mainstream. Oggi si muove su applicazioni criptate, dark web, e social network alternativi, utilizzando un linguaggio più sofisticato, mirato ai giovani e capace di adattarsi al contesto geopolitico. La propaganda si alimenta di eventi simbolici e traumatici: il conflitto israelo-palestinese, le percepite discriminazioni nei confronti dei musulmani in Occidente, o la retorica islamofoba presente in alcune narrazioni politiche. Tutto ciò viene incanalato per costruire una visione binaria del mondo – Islam contro Occidente – funzionale alla radicalizzazione e al reclutamento. Il jihadismo trae forza dai vuoti geopolitici. Ogni volta che uno Stato fallisce, si ritira o mostra debolezza, i gruppi jihadisti tendono a inserirsi. La ritirata occidentale dall’Afghanistan ha lasciato spazio all’ISIS-K; il ritiro delle truppe francesi dal Sahel ha creato un vuoto di sicurezza; le tensioni in Palestina e a Gaza alimentano una narrativa di guerra contro l’Islam. Inoltre, la normalizzazione dei rapporti tra Israele e alcuni Paesi arabi è stata letta dai jihadisti come un tradimento, rafforzando la loro posizione come difensori dell’Islam autentico. In conclusione, non siamo di fronte a una nuova ondata globale come nel periodo 2014-2017, ma a una fase più fluida e per certi versi più insidiosa: una riorganizzazione silenziosa, fatta di adattamenti locali, radicalizzazioni individuali, uso sapiente della propaganda. Le capacità operative dei gruppi jihadisti in Europa sono state indebolite, grazie a un miglior lavoro di intelligence, prevenzione e cooperazione internazionale. Tuttavia, la minaccia persiste, alimentata da contesti geopolitici instabili e da dinamiche sociali non risolte. Una risposta efficace richiede non solo strumenti di contrasto e sicurezza, ma anche una strategia complessiva: prevenzione sociale, de-radicalizzazione, inclusione, e soprattutto una visione geopolitica più lucida e lungimirante. Solo così sarà possibile evitare che il terrorismo jihadista continui a prosperare nei vuoti lasciati dallo Stato e dall’indifferenza. RR