RASSEGNA STAMPA S.

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• Il Passato sarà un buon rifugio, ma il Futuro è l'unico posto dove possiamo andare. (Renzo Piano) •

PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

venerdì 28 marzo 2025

LA FOLLE DERIVA ARMATA DELL’EUROPA E IL BIVIO DELLA CIVILTA’ OCCIDENTALE IN OUT



Si vis pacem, para bellum. Con questo motto che evoca antiche logiche imperiali l’Unione Europea ha inaugurato il piano Readiness 2030, un progetto di rafforzamento militare da 800 miliardi di euro. L’iniziativa si fonda sull’idea che il mantenimento della pace derivi dalla superiorità bellica, in un aggiornato contesto nel quale la deterrenza sostituisce il dialogo. Questa visione, che identifica la sicurezza con l’accumulo di armi, è inadatta ad affrontare le complessità del presente e rischia di compromettere le radici  del progetto europeo. La pace autentica non nasce dalla minaccia, ma dalla capacità di comprendere le cause dei conflitti e di costruire spazi comuni di confronto. L’adozione di una politica fondata sul riarmo inverte la rotta rispetto all’identità che l’Europa aveva scelto di darsi dopo le tragedie del Novecento: non più blocchi contrapposti, ma cooperazione, mediazione, costruzione condivisa di un futuro basato sui diritti e sulla giustizia. Readiness 2030 non è solo una questione strategica: è un simbolo della trasformazione dell’Europa da comunità di popoli a polo geopolitico armato. Questa metamorfosi si sta consumando mentre i cittadini europei affrontano sfide economiche, sanitarie e sociali che richiederebbero un impiego diverso delle risorse pubbliche. In un’epoca segnata da inflazione, povertà crescente, crisi climatica ed emergenze educative, la scelta di investire nell’industria bellica appare non solo anacronistica, ma profondamente ingiusta. Il rischio è duplice. Da un lato, si alimenta una nuova corsa agli armamenti che potrebbe aumentare la possibilità di escalation e destabilizzazione. Dall’altro, si crea una frattura crescente tra le élite politiche e la popolazione, la cui quotidianità è segnata da problemi reali ai quali non si dà risposta. Invece di rafforzare lo stato sociale, si preferisce irrigidire i confini della difesa, mentre l’insicurezza percepita viene usata per giustificare ogni forma di spesa militare. A questo quadro si aggiunge una progressiva perdita di autonomia strategica. L’Europa, sempre più allineata agli interessi atlantici, rinuncia alla possibilità di sviluppare una propria via alla pace, indipendente dai dettami di potenze extraeuropee. L’adozione acritica di una logica da guerra fredda rischia di soffocare le energie creative, scientifiche e culturali del continente, sostituendo la diplomazia con la minaccia, e la cooperazione con la logica del nemico. Ma c’è un ulteriore nodo, spesso sottovalutato, che riguarda la sostenibilità industriale e la competitività economica del riarmo. L’industria europea della difesa è frammentata, con duplicazioni di sistemi d’arma e scarsa interoperabilità tra i diversi eserciti. Manca un vero mercato comune della difesa, mentre i colossi globali – in particolare statunitensi e cinesi – dominano per scala, innovazione e capacità produttiva. In questo ambito, l’idea di costruire rapidamente un complesso militare europeo competitivo appare poco realistica. Le risorse rischiano di disperdersi in inefficienze, alimentando un sistema industriale incapace di reggere il confronto internazionale. Aumentare la spesa non equivale automaticamente a diventare più sicuri né più forti: senza una strategia industriale coerente, il riarmo potrebbe produrre più debito che deterrenza, più sprechi che difesa. Prepararsi ad un conflitto bellico non implica necessariamente evitarlo; spesso significa legittimarlo, normalizzarlo, renderlo più probabile. Investire in armamenti anziché in coesione significa trasmettere ai cittadini un messaggio di sfiducia: non si crede più nella forza della parola, ma nella forza delle armi. E così si affievolisce il senso di appartenenza a un’Europa dei popoli, alimentando nazionalismi, divisioni, sospetti. Il bivio è storico. Da un lato, la tentazione di rispondere alle incertezze globali con la logica della forza. Dall’altro, la possibilità di affrontare le sfide con gli strumenti della cultura, della scienza, della giustizia sociale. La militarizzazione non è una necessità ineluttabile, ma una scelta politica. E ogni opzione porta con sé una visione del mondo. Il futuro dell’Europa dipenderà da ciò che oggi decidiamo di essere: un continente che alza muri o che costruisce ponti. Una potenza armata o una potenza di pace. Un progetto guidato dalla paura o una comunità che sceglie la speranza. Le decisioni che verranno prese nei prossimi anni non definiranno solo la nostra sicurezza: plasmeranno la civiltà che vogliamo lasciare in eredità. Roberto Rapaccini