Israele è spesso descritto come l’unica democrazia del Medio Oriente. È realmente una democrazia? È corretto definirlo come l'unico Stato democratico della regione? La questione merita un approfondimento che vada oltre gli aspetti meramente formali, ed esamini l’affermazione nella sostanza, con un approccio obiettivo strutturato sulla realtà concreta. Israele come forma di governo è una democrazia parlamentare basata su un sistema legislativo unicamerale: la Knesset, composta da 120 deputati eletti a suffragio universale ogni quattro anni, o prima in caso di crisi politica. Israele non ha una costituzione formale, ma dispone di una serie di leggi che regolano le istituzioni e definiscono i diritti civili. La Dichiarazione d'Indipendenza israeliana stabilisce che Israele è uno Stato ebraico e democratico, un’enunciazione che già evidenzia la complessità della sua proclamata identità. Tra i principali elementi sui quali si fondano le affermazioni del carattere democratico di Israele vi sono il pluralismo partitico, una stampa che alimenta un dibattito pubblico vivace e aperto, una magistratura indipendente, con una Corte Suprema che dovrebbe essere un baluardo della difesa dei diritti civili, inclusi quelli delle minoranze. Prima di approfondire il tema dell’effettivo funzionamento dei principi democratici nello Stato ebraico, si precisa che la definizione di Israele come unica democrazia del Medio Oriente non è esatta, poiché altri Paesi della regione possiedono elementi democratici, sebbene con diversi gradi di libertà e con varie problematiche interne. Il Libano, ad esempio, è una democrazia con regolari elezioni multipartitiche, ma il sistema politico deve rispettare quote religiose (maroniti, sunniti, sciiti ecc.), e questo limita la rappresentanza democratica. La presenza di milizie armate, come Hezbollah, e varie ingerenze indeboliscono la sovranità del governo libanese. La Tunisia, dopo la Primavera Araba, aveva costruito un sistema democratico con elezioni libere e una nuova costituzione. Tuttavia, dal 2021 il presidente Saied ha assunto poteri straordinari, ha sospeso il Parlamento e ha limitato i poteri dell'opposizione. In Iraq dal 2005 esistono elezioni politiche e una Costituzione pluralista, ma la democrazia è fragile, minata da corruzione e interferenze straniere, in particolare dell'Iran. Anche la Giordania e il Kuwait hanno istituzioni democratiche, come parlamenti eletti, ma sono monarchie costituzionali in cui il potere effettivo è saldamente nelle mani dei rispettivi sovrani. La Turchia, storica democrazia parlamentare, ha subìto una deriva autoritaria sotto la guida del presidente Erdoğan. Tornando al caso israeliano, vanno considerate diverse criticità interne. La principale riguarda il conflitto con i palestinesi. Dal 1967 Israele ha occupato la Cisgiordania e controlla i confini e le risorse di Gaza nonostante il ritiro fisico nel 2005. In questi territori oltre due milioni di palestinesi vivono sotto occupazione militare senza godere degli stessi diritti politici e civili dei cittadini israeliani, con accuse di discriminazione istituzionalizzata e di un doppio sistema legale. I cittadini arabo-palestinesi di Israele, circa il 20% della popolazione totale, pur potendo votare e candidarsi, denunciano penalizzazioni sistematiche nell'accesso ai servizi pubblici e nella rappresentanza politica. In proposito, la controversa Legge Fondamentale del 2018, che ha ribadito che Israele è lo Stato nazionale del popolo ebraico, è considerata da molti una norma che relega le minoranze arabe al ruolo di cittadini di seconda classe. Recentemente Israele è stato interessato da tensioni dovute alla proposta di riforma della giustizia promossa dal governo Netanyahu. Le relative proteste di massa hanno evidenziato i timori circa un possibile indebolimento dello Stato di diritto e dell’indipendenza della magistratura. In relazione alle predette considerazioni si evince che definire Israele come l’unica democrazia della regione è senz’altro semplicistico. Israele è la democrazia più stabile e istituzionalizzata del Medio Oriente, ma, come in precedenza precisato, esistono altri contesti democratici - seppur parziali e fragili - come i menzionati Libano, Tunisia e Iraq. Inoltre, la realtà democratica israeliana è minata dalle accennate criticità interne. Israele è dunque un caso complesso, ovvero una nazione continuamente alle prese con sfide e contraddizioni nell'applicazione dei principi democratici, nella tutela dei diritti di tutti coloro che vivono sotto il suo controllo, nell’assicurare una reale uguaglianza di tutti i cittadini. Le discriminazioni segnalate dagli arabi israeliani (cioè, dai cittadini israeliani di origine palestinese) sono soprattutto di tipo economico, sociale e politico. Alcuni esempi specifici. Gli arabi israeliani spesso lamentano difficoltà nell'accesso ad alcuni settori lavorativi (specialmente quelli pubblici, hi-tech, militari o legati alla sicurezza) dove la loro presenza è bassa. Rispetto agli israeliani ebrei, gli israeliani-arabi segnalano di avere spesso a parità di prestazioni stipendi inferiori e tassi di disoccupazione più elevati. Le scuole arabe, ricevendo fondi minori rispetto a quelli destinati alla comunità ebraica, sono strutture peggiori, con classi più affollate, materiali didattici insufficienti, minor offerta di corsi avanzati. L'accesso all’istruzione superiore è spesso limitato dalle differenze economiche e linguistiche, riducendo di fatto i destinatari delle opportunità accademiche e professionali. Esistono restrizioni sull’espansione urbanistica delle città arabo-israeliane. Sono rare le autorizzazioni governative a costruire nuovi insediamenti arabi. Questa politica determina il proliferare di edificazioni abusive che, pertanto, possono essere facilmente oggetto di ordini di demolizione emanati dalle autorità. Molte terre sono amministrate dal Fondo Nazionale Ebraico, che favorisce esplicitamente gli insediamenti ebraici rispetto a quelli arabi. Le città arabo-israeliane spesso di fatto ricevono meno investimenti pubblici per infrastrutture (strade, reti idriche, trasporti, sanità pubblica e servizi sociali), con conseguenti standard di vita generalmente inferiori rispetto a quelli delle città israeliane a maggioranza ebraica. Nonostante abbiano il diritto di voto e di elezione, gli arabi israeliani denunciano tentativi di marginalizzazione politica: i partiti arabi raramente sono inclusi nelle coalizioni di governo e i politici arabi subiscono spesso accuse di slealtà o di estremismo politico. È assai difficoltoso per i partiti arabi diventare influenti a livello nazionale. I cittadini arabi sono soggetti più frequentemente a controlli, ispezioni, interrogatori o arresti preventivi da parte della polizia e delle forze di sicurezza israeliane rispetto ai cittadini ebrei. In situazioni di conflitto gli arabi israeliani spesso sono visti con sospetto, trattati come potenziali minacce. La menzionata Legge fondamentale, dichiarando l'ebraico sola lingua ufficiale dello Stato, di fatto declassa l'arabo da lingua ufficiale a ‘lingua con status speciale’. In conclusione, le discriminazioni subite dagli arabo-israeliani si manifestano concretamente attraverso un minore accesso alle risorse economiche, educative e sociali, mediante una limitata rappresentanza politica, con alcune discriminazioni istituzionalizzate sul piano legislativo, amministrativo, o applicativo delle disposizioni vigenti. Questi fattori causano una situazione strutturale di disparità che attivisti israeliani, sia arabi che ebrei, cercano costantemente di portare all’attenzione pubblica. Roberto Rapaccini
Grammatica del mondo islamico, Medio Oriente, dialogo interreligioso, interetnico e multiculturale, questioni di geopolitica, immigrazione.
PAESI DELLA LEGA ARABA

TESTO SC.
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