Dopo il
fallimentare incontro alla Casa Bianca tra il presidente ucraino Zelensky e
Trump, la scelta di una sede neutrale per un vertice di funzionari di rango
inferiore si è resa necessaria per stemperare le tensioni e riprendere un
dialogo costruttivo. Giovedì scorso il leader ucraino aveva annunciato che nei
prossimi giorni si sarebbe recato in Arabia Saudita per incontrare il principe
ereditario; il suo team sarebbe restato nel Paese per i colloqui con funzionari
statunitensi, che si sarebbero tenuti a Gedda l’11 marzo e avrebbero avuto l'obiettivo
di discutere un eventuale cessate il fuoco e di delineare un quadro per un possibile
accordo di pace. Come previsto, il presidente ucraino è giunto a Gedda il 10
marzo e, secondo programma, ha incontrato il principe saudita Mohammed bin
Salman. Un primo aspetto problematico che si è posto nell’organizzazione dei
colloqui ha riguardato la reale neutralità dell’Arabia Saudita. L'Arabia
Saudita ha rappresentato una scelta gradita per l’amministrazione Trump. Già durante
il suo primo mandato la prima visita ufficiale all'estero del Presidente Usa fu
proprio nel regno saudita, un Paese che aspira a giocare un ruolo di primo
piano nella scena regionale, nonostante il suo inquietante bilancio in materia
di diritti umani. Peraltro, Trump vuole favorire una reale normalizzazione
delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele, al fine di rivitalizzare le
intese bilaterali degli Accordi di Abramo, che hanno avuto un impatto limitato e
deludente sulla sicurezza in Medio Oriente. Oltre ai consolidati legami tra
Trump e la leadership saudita, si percepisce anche una crescente vicinanza tra
la Russia e il principe saudita, di cui è nota l’ammirazione per Putin per la
capacità di consolidare il proprio potere. Conseguentemente il governo saudita
ha spesso manifestato una riluttanza a condannare apertamente l’invasione
dell’Ucraina. Nello stesso tempo la Russia continua a rappresentare per Riad un
partner importante all’interno dell’OPEC+, e un pilastro fondamentale della sua
strategia di diversificazione della politica estera. All’interno
dell’OPEC+ l’Arabia Saudita ha favorito la decisione di ridurre la produzione
di petrolio di 2 milioni di barili al giorno, facendone aumentare i prezzi
globali e, indirettamente, accrescendo le entrate finanziarie russe. Inoltre, l’Arabia
Saudita, pur avendo votato a favore di risoluzioni dell’Assemblea Generale
dell’ONU sulla guerra in Ucraina, comprese quelle che condannano l’uso illegale
della forza da parte della Russia e le sue annessioni illegittime, ha, tuttavia,
evitato di ledere seriamente gli interessi russi. Già nel 2023 Riyadh aveva
organizzato un vertice sulla guerra in Ucraina, a cui parteciparono
rappresentanti di oltre 40 Paesi. Alcuni osservatori interpretarono
l’iniziativa come un’operazione per migliorare l’immagine internazionale
dell’Arabia Saudita. Considerato questo quadro, Kiev ha accettato di prendere
parte ai colloqui a Gedda per i legami personali del ministro della Difesa
ucraino con il mondo saudita, grazie alla sua precedente esperienza nel settore
finanziario. L’Arabia Saudita possiede inoltre una delle maggiori aziende
agricole in Ucraina. Queste contingenze insieme ad altre avrebbero potuto costituire
interessi pragmatici idonei a facilitare i colloqui e a creare la necessaria fiducia
tra Ucraina e Arabia Saudita. Considerata la complessità dei rapporti
geopolitici globali, si deve constatare che l’idea di luoghi neutrali per qualsiasi
negoziato è un’utopia: sarebbe necessaria una sede che abbia interessi con
entrambe le parti. Nella situazione specifica il rischio più grande per
l’Ucraina è la possibilità che gli Stati Uniti si allineino all’agenda russa,
ma la scelta del luogo dei colloqui non cambia la realtà. I colloqui avvengono
in un contesto delicato, segnato dalla sospensione degli aiuti militari e del
supporto d'intelligence degli Stati Uniti all'Ucraina, decisione che ha posto
Kiev in una posizione di vulnerabilità. Zelensky, consapevole dell'importanza
del sostegno occidentale, mira a influenzare le trattative tra Washington e
Mosca, cercando di garantire gli interessi ucraini nel processo di pace. Ieri
il Consigliere per la Sicurezza Nazionale statunitense ha dichiarato che i
negoziati stavano procedendo positivamente, mentre il Capo dell'Ufficio
presidenziale ucraino ha affermato che l'Ucraina è pronta a fare tutto il
possibile per raggiungere la pace. Nella stessa giornata un attacco con droni ha colpito
la regione di Mosca causando tre morti. Il Cremlino ha dichiarato che questo
raid potrebbe compromettere i colloqui di pace. Nel pomeriggio di ieri 11
marzo a Parigi, su iniziativa del presidente Macron, una trentina di Paesi
hanno partecipato alla riunione dei capi di stato maggiore degli eserciti
europei e della Nato per definire le strategie per garantire le condizioni di
una futura pace in Ucraina, anche mediante una forza internazionale di
sicurezza, equipaggiata con armamenti pesanti e pronta a un rapido
dispiegamento per prevenire offensive russe in caso di cessate il fuoco.
Francia e Regno Unito guidano gli sforzi per garantire la sicurezza
dell'Ucraina nel periodo post-bellico. La riunione è stata organizzata in
stretto coordinamento con il comando militare della Nato. L'Italia ha partecipato
in qualità di osservatore, mantenendo una posizione cauta riguardo all'invio di
truppe sul terreno; si è sottolineato che qualsiasi coinvolgimento militare
diretto sarebbe valutato attentamente e attuato solo sotto l'egida delle
Nazioni Unite. Questi due eventi riflettono una frenesia diplomatica che
evidenzia la fluidità delle attuali alleanze globali. La già menzionata sospensione
degli aiuti militari statunitensi all'Ucraina ha scosso le relazioni
transatlantiche, costringendo l'Europa a rivedere il proprio ruolo nella
sicurezza: molti Paesi, confusi dalle politiche imprevedibili dell'amministrazione
Trump, si trovano a dover trovare un punto di equilibrio tra il rifiuto della
realtà e la necessità di assumersi maggiori responsabilità. In questo contesto,
l'UE cerca di assicurarsi un posto al tavolo delle trattative tra Mosca e Washington,
temendo che decisioni unilaterali possano compromettere la sicurezza del
continente. La creazione di una coalizione dei volenterosi rappresenta
un tentativo di alcuni Stati membri di procedere senza aspettare un consenso
unanime, riconoscendo l'impossibilità di raggiungere un accordo completo in
tempi brevi. Più precisamente, in questo momento ci sono divergenze tra gli
Stati membri: alcuni (come Francia, Regno Unito e Polonia) sono favorevoli a un
coinvolgimento in Ucraina, mentre altri (come Ungheria o Slovacchia) sono
contrari a prendere decisioni che potrebbero provocare un'escalation del
conflitto. Di fronte a questa difficoltà, alcuni Paesi scelgono di procedere
comunque, creando un gruppo ristretto, una coalizione informale che si
assume la responsabilità di agire senza dover attendere l’approvazione formale
di tutti gli altri Stati. È un meccanismo che consente di aggirare i veti e le
indecisioni collettive. In conclusione, le riunioni parallele di Gedda e Parigi
segnano un momento cruciale nella ridefinizione degli equilibri geopolitici.
Mentre l'Ucraina cerca di rafforzare le proprie alleanze e garantire la propria
sicurezza, l'Europa è chiamata a dimostrare unità e determinazione nel difendere
i principi democratici e la stabilità regionale. La capacità dell'UE di agire
con coesione e fermezza sarà determinante nel plasmare il futuro ordine
mondiale, in un'epoca in cui le tradizionali alleanze sono messe alla prova ed
emergono nuove dinamiche di potere. Roberto Rapaccini