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PAESI DELLA LEGA ARABA

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La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

martedì 11 febbraio 2025

GAZA, IL CONTROVERSO PIANO DI TRUMP, FRA AMBIZIONI E TENSIONI INTERNAZIONALI


Il 4 febbraio u.s, durante una conferenza stampa alla Casa Bianca, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha presentato un piano innovativo riguardante la Striscia di Gaza, che prevede che gli Stati Uniti assumano il controllo dell'area, trasferiscano temporaneamente la popolazione palestinese in Paesi vicini come Egitto e Giordania, e trasformino Gaza in una lussuosa destinazione turistica, che si chiamerà la Riviera del Medio Oriente. Le infrastrutture esistenti verrebbero demolite per far posto ad una riqualificazione urbana, con la costruzione di hotel, resort e strutture ricreative destinate a rivitalizzare l'economia della regione. Uno degli aspetti controversi della proposta è il trasferimento temporaneo di circa 2,1 milioni di palestinesi verso Paesi limitrofi. Il piano non specifica né le modalità del trasferimento, né le garanzie per il ritorno della popolazione una volta completata la trasformazione di Gaza. Gli Stati Uniti avrebbero una forma di possesso  o di proprietà a lungo termine della regione, che gli consentirebbe di occuparsi della rimozione di ordigni inesplosi, del disarmo delle milizie armate e della gestione dello sviluppo economico e della creazione di posti di lavoro. L’iniziativa prevede il possibile impiego di truppe americane per garantire la sicurezza e implementare le operazioni. La proposta ha scatenato molte critiche, con nazioni e organizzazioni internazionali che l'hanno definita irrealistica e pericolosa. Il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha convocato una Cumbre Árabe de Emergencia, un vertice straordinario della Lega Araba, per affrontare l’emergenza diplomatica e valutare una risposta congiunta. L’Egitto teme che il trasferimento forzato dei palestinesi possa destabilizzare ulteriormente la regione e generare nuove tensioni lungo il confine del Sinai. Rifiutando la proposta, il governo saudita ha ribadito che non stabilirà relazioni diplomatiche con Israele finché non verrà raggiunta una soluzione a due Stati. Riyadh ha inoltre denunciato il piano, definendolo una forma di pulizia etnica. Il Re di Giordania Abdallah II ha respinto qualsiasi ipotesi di annessione o trasferimento forzato della popolazione palestinese, avvertendo che queste misure rappresentano una minaccia alla stabilità del Paese, che già ospita milioni di rifugiati. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha dichiarato che qualsiasi trasferimento forzato della popolazione palestinese è proibito dal diritto internazionale e potrebbe configurarsi come un crimine contro l'umanità. Ha poi convocato una riunione straordinaria per discutere la proposta e valutare eventuali misure diplomatiche. Gruppi per i diritti umani, come Amnesty International e Human Rights Watch, hanno criticato il piano, sottolineando anche loro che lo sfollamento di massa di una popolazione costituisce una grave violazione delle convenzioni internazionali. In Europa Paesi come Francia, Germania e Regno Unito hanno espresso una ferma opposizione, ribadendo che Gaza appartiene ai palestinesi e che qualsiasi tentativo di espulsione della popolazione sarebbe inaccettabile. Poiché il Ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, aveva suggerito che Spagna e Irlanda avrebbero potuto accogliere i residenti di Gaza, i governi di entrambi i Paesi hanno respinto con fermezza l’idea. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha accolto con entusiasmo la proposta di Trump, definendola un’idea nuova che potrebbe cambiare la situazione a Gaza. Nonostante il sostegno di Israele, il piano solleva numerosi interrogativi sulla sua fattibilità e sulle implicazioni etiche e legali. Gli analisti sottolineano diversi punti critici, in particolare sull’assenza di dettagli e su come dovrebbe avvenire il trasferimento della popolazione, chi lo gestirebbe e quali sarebbero le garanzie per i palestinesi. Come già detto, c’è anche il rischio di violazioni del diritto internazionale, poiché il trasferimento forzato di una popolazione è considerato un crimine di guerra secondo alcuni Trattati. Non si può escludere nell’operazione l’eventuale possibile coinvolgimento militare degli Stati Uniti, che potrebbe originare un nuovo conflitto a lungo termine nella regione. L’opposizione della comunità internazionale, in ultimo, rende difficile l’attuazione del piano senza una legittimazione diplomatica. In conclusione, la proposta di Trump per Gaza  rappresenta un cambio drastico nella politica estera americana in Medio Oriente, ma incontra una resistenza diffusa a livello globale. Mentre Israele la considera un’opportunità per ristrutturare Gaza e garantirne la sicurezza, molti Paesi e organizzazioni internazionali la ritengono irrealizzabile, pericolosa e potenzialmente illegale. Il destino della Striscia di Gaza rimane incerto, con la comunità internazionale chiamata a prendere posizione su una questione che potrebbe ridefinire gli equilibri geopolitici della regione nei prossimi anni. Da un punto di vista geostrategico la proposta di Trump rappresenta un’ulteriore estensione dell’influenza americana nella regione, ma potrebbe anche inasprire le latenti tensioni con Paesi arabi alleati storici come Egitto e Arabia Saudita. L’Iran, da sempre sostenitore di Hamas e di altre fazioni palestinesi, potrebbe rispondere con un aumento del sostegno militare ai gruppi militanti e armati, creando una nuova escalation militare. Il piano confermerebbe il forte sostegno di Trump a Israele, ma potrebbe anche aumentare divisioni nella politica interna israeliana, specialmente tra i partiti più moderati. La proposta inoltre esclude completamente i palestinesi dai negoziati. Questo potrebbe definitivamente compromettere ogni possibilità di rilancio del processo di pace. Per quanto riguarda gli aspetti economici e finanziari, la trasformazione di Gaza in una Riviera del Medio Oriente richiederebbe ingenti investimenti. Gli Stati Uniti sarebbero disposti a sostenerli da soli? O si cercherebbero finanziamenti da altri Paesi, come Arabia Saudita o Emirati Arabi Uniti? Le varie opzioni incidono in maniera determinante sulle sorti del progetto. Gaza potrebbe diventare una meta turistica internazionale considerando la sua storia recente di conflitti? Il rischio di un ritorno delle tensioni potrebbe scoraggiare investitori e turisti. L’eventuale trasferimento dei palestinesi in Egitto e Giordania comporterebbe una pressione economica su questi Paesi, che già ospitano milioni di rifugiati. La popolazione palestinese, in gran parte contraria a qualsiasi forma di trasferimento forzato, potrebbe rispondere con proteste di massa e nuove forme di resistenza armata. Hamas, che governa di fatto la Striscia di Gaza, vedrebbe il piano come una minaccia esistenziale e potrebbe intensificare gli attacchi contro Israele e gli interessi americani nella regione. L’Autorità Palestinese, progressivamente indebolita, rischierebbe di perdere ulteriore legittimità, lasciando il posto a gruppi più radicalizzati. Si è detto che il trasferimento forzato di popolazioni civili è considerato un crimine di guerra. Paesi contrari alla proposta potrebbero portare il caso davanti a magistrature internazionali per ottenere una condanna. Se la comunità internazionale rigettasse il piano, gli Stati Uniti potrebbero trovarsi sempre più isolati, con un deterioramento dei rapporti anche con gli alleati europei. Potrebbero esserci soluzioni meno drastiche ovvero ricostruire Gaza senza dover evacuare milioni di persone? Sebbene difficile, è necessario individuare un percorso negoziale alternativo, che garantisca  la sicurezza di Israele senza dover rimuovere l’intera popolazione palestinese. RR