Il 4 febbraio u.s,
durante una conferenza stampa alla Casa Bianca, il Presidente degli Stati Uniti
Donald Trump ha presentato un piano innovativo riguardante la Striscia di Gaza,
che prevede che gli Stati Uniti assumano il controllo dell'area, trasferiscano
temporaneamente la popolazione palestinese in Paesi vicini come Egitto e
Giordania, e trasformino Gaza in una lussuosa destinazione turistica, che si
chiamerà la Riviera del Medio Oriente. Le infrastrutture esistenti verrebbero
demolite per far posto ad una riqualificazione urbana, con la costruzione di
hotel, resort e strutture ricreative destinate a rivitalizzare l'economia della
regione. Uno degli aspetti controversi della proposta è il trasferimento
temporaneo di circa 2,1 milioni di palestinesi verso Paesi limitrofi. Il piano
non specifica né le modalità del trasferimento, né le garanzie per il ritorno
della popolazione una volta completata la trasformazione di Gaza. Gli Stati
Uniti avrebbero una forma di possesso o
di proprietà a lungo termine della regione, che gli consentirebbe di occuparsi
della rimozione di ordigni inesplosi, del disarmo delle milizie armate e della
gestione dello sviluppo economico e della creazione di posti di lavoro. L’iniziativa
prevede il possibile impiego di truppe americane per garantire la sicurezza e
implementare le operazioni. La proposta ha scatenato molte critiche, con
nazioni e organizzazioni internazionali che l'hanno definita irrealistica e
pericolosa. Il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha convocato una Cumbre
Árabe de Emergencia, un vertice straordinario della Lega Araba, per affrontare
l’emergenza diplomatica e valutare una risposta congiunta. L’Egitto teme che il
trasferimento forzato dei palestinesi possa destabilizzare ulteriormente la
regione e generare nuove tensioni lungo il confine del Sinai. Rifiutando la
proposta, il governo saudita ha ribadito che non stabilirà relazioni
diplomatiche con Israele finché non verrà raggiunta una soluzione a due Stati.
Riyadh ha inoltre denunciato il piano, definendolo una forma di pulizia etnica.
Il Re di Giordania Abdallah II ha respinto qualsiasi ipotesi di annessione o
trasferimento forzato della popolazione palestinese, avvertendo che queste
misure rappresentano una minaccia alla stabilità del Paese, che già ospita
milioni di rifugiati. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite António
Guterres ha dichiarato che qualsiasi trasferimento forzato della popolazione
palestinese è proibito dal diritto internazionale e potrebbe configurarsi come
un crimine contro l'umanità. Ha poi convocato una riunione straordinaria per
discutere la proposta e valutare eventuali misure diplomatiche. Gruppi per i
diritti umani, come Amnesty International e Human Rights Watch, hanno criticato
il piano, sottolineando anche loro che lo sfollamento di massa di una
popolazione costituisce una grave violazione delle convenzioni internazionali. In
Europa Paesi come Francia, Germania e Regno Unito hanno espresso una ferma
opposizione, ribadendo che Gaza appartiene ai palestinesi e che qualsiasi
tentativo di espulsione della popolazione sarebbe inaccettabile. Poiché il
Ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, aveva suggerito che Spagna e
Irlanda avrebbero potuto accogliere i residenti di Gaza, i governi di entrambi
i Paesi hanno respinto con fermezza l’idea. Il Primo Ministro israeliano Benjamin
Netanyahu ha accolto con entusiasmo la proposta di Trump, definendola un’idea
nuova che potrebbe cambiare la situazione a Gaza. Nonostante il sostegno di
Israele, il piano solleva numerosi interrogativi sulla sua fattibilità e sulle
implicazioni etiche e legali. Gli analisti sottolineano diversi punti critici,
in particolare sull’assenza di dettagli e su come dovrebbe avvenire il
trasferimento della popolazione, chi lo gestirebbe e quali sarebbero le
garanzie per i palestinesi. Come già detto, c’è anche il rischio di violazioni
del diritto internazionale, poiché il trasferimento forzato di una popolazione
è considerato un crimine di guerra secondo alcuni Trattati. Non si può
escludere nell’operazione l’eventuale possibile coinvolgimento militare degli
Stati Uniti, che potrebbe originare un nuovo conflitto a lungo termine nella
regione. L’opposizione della comunità internazionale, in ultimo, rende
difficile l’attuazione del piano senza una legittimazione diplomatica. In conclusione,
la proposta di Trump per Gaza rappresenta
un cambio drastico nella politica estera americana in Medio Oriente, ma
incontra una resistenza diffusa a livello globale. Mentre Israele la considera
un’opportunità per ristrutturare Gaza e garantirne la sicurezza, molti Paesi e
organizzazioni internazionali la ritengono irrealizzabile, pericolosa e
potenzialmente illegale. Il destino della Striscia di Gaza rimane incerto, con
la comunità internazionale chiamata a prendere posizione su una questione che
potrebbe ridefinire gli equilibri geopolitici della regione nei prossimi anni.
Da un punto di vista geostrategico la proposta di Trump rappresenta
un’ulteriore estensione dell’influenza americana nella regione, ma potrebbe
anche inasprire le latenti tensioni con Paesi arabi alleati storici come Egitto
e Arabia Saudita. L’Iran, da sempre sostenitore di Hamas e di altre fazioni
palestinesi, potrebbe rispondere con un aumento del sostegno militare ai gruppi
militanti e armati, creando una nuova escalation militare. Il piano
confermerebbe il forte sostegno di Trump a Israele, ma potrebbe anche aumentare
divisioni nella politica interna israeliana, specialmente tra i partiti più
moderati. La proposta inoltre esclude completamente i palestinesi dai negoziati.
Questo potrebbe definitivamente compromettere ogni possibilità di rilancio del
processo di pace. Per quanto riguarda gli aspetti economici e finanziari, la
trasformazione di Gaza in una Riviera del Medio Oriente richiederebbe ingenti
investimenti. Gli Stati Uniti sarebbero disposti a sostenerli da soli? O si
cercherebbero finanziamenti da altri Paesi, come Arabia Saudita o Emirati Arabi
Uniti? Le varie opzioni incidono in maniera determinante sulle sorti del
progetto. Gaza potrebbe diventare una meta turistica internazionale
considerando la sua storia recente di conflitti? Il rischio di un ritorno delle
tensioni potrebbe scoraggiare investitori e turisti. L’eventuale trasferimento
dei palestinesi in Egitto e Giordania comporterebbe una pressione economica su
questi Paesi, che già ospitano milioni di rifugiati. La popolazione
palestinese, in gran parte contraria a qualsiasi forma di trasferimento
forzato, potrebbe rispondere con proteste di massa e nuove forme di resistenza
armata. Hamas, che governa di fatto la Striscia di Gaza, vedrebbe il piano come
una minaccia esistenziale e potrebbe intensificare gli attacchi contro Israele
e gli interessi americani nella regione. L’Autorità Palestinese, progressivamente
indebolita, rischierebbe di perdere ulteriore legittimità, lasciando il posto a
gruppi più radicalizzati. Si è detto che il trasferimento forzato di
popolazioni civili è considerato un crimine di guerra. Paesi contrari alla
proposta potrebbero portare il caso davanti a magistrature internazionali per
ottenere una condanna. Se la comunità internazionale rigettasse il piano, gli
Stati Uniti potrebbero trovarsi sempre più isolati, con un deterioramento dei
rapporti anche con gli alleati europei. Potrebbero esserci soluzioni meno
drastiche ovvero ricostruire Gaza senza dover evacuare milioni di persone? Sebbene
difficile, è necessario individuare un percorso negoziale alternativo, che
garantisca la sicurezza di Israele senza
dover rimuovere l’intera popolazione palestinese. RR