La tregua tra Israele e Hamas, iniziata il 19 gennaio 2025, ha portato a sviluppi significativi. In questi primi giorni oltre 2400 camion carichi di aiuti umanitari essenziali e carburante sono entrati a Gaza attraverso il valico di Rafah, segnando un aumento sostanziale nell'assistenza alla popolazione. In conformità all’intesa raggiunta Hamas ha rilasciato tre ostaggi israeliani; in cambio Israele ha liberato 90 prigionieri palestinesi. Il piano complessivo prevede che per ogni ostaggio israeliano liberato Israele rilasci un numero proporzionale di prigionieri palestinesi. Nella prima fase è previsto il rilascio di 33 ostaggi israeliani in cambio di circa 1.900 prigionieri palestinesi. La tregua rimane fragile, le tensioni persistono. Inoltre, squadre della difesa civile palestinese in questi primi giorni di tregua hanno estratto dalle macerie solo a Rafah 137 corpi. I consessi internazionali sottolineano l'importanza di trasformare questa tregua in una pace duratura, affrontando le cause profonde del conflitto e garantendo una soluzione equa e sostenibile per entrambe le parti coinvolte. Il 21 gennaio Israele ha condotto un'operazione militare a Jenin, in Cisgiordania, causando almeno dieci morti. Nella Striscia di Gaza la distruzione è totale. Ospedali, scuole e abitazioni sono stati rasi al suolo lasciando milioni di persone senza servizi essenziali. Le condizioni di vita, già compromesse da anni di blocco economico, sono peggiorate ulteriormente. Le comunità locali stanno cercando di ripristinare le vite individuali, dimostrando solidarietà e speranza nonostante le difficoltà. La ricostruzione richiederà sforzi immensi. L’instabilità politica e la mancanza di fiducia reciproca tra le parti rischiano di ostacolare la distribuzione degli aiuti. Questa tregua è una pausa nelle ostilità, non un punto di svolta definitivo. Gli scambi di ostaggi e prigionieri rappresentano un passo verso la de-escalation, ma episodi di violenza, come gli attacchi in Cisgiordania e a Gaza durante il cessate il fuoco, ne evidenziano la precarietà. Israele e Hamas restano distanti nelle loro inconciliabili aspettative: Israele vede Hamas come una minaccia esistenziale da annientare, mentre i palestinesi, esausti e frammentati, sperano in un sollievo momentaneo, ma senza aspettative di cambiamenti duraturi. Senza un impegno serio e condiviso per promuovere negoziati equilibrati, la tregua rischia di essere solo una parentesi, destinata a nuove ‘escalation’. Al loro interno entrambe le parti devono affrontare pressioni: in Israele il governo è sotto scrutinio per la gestione del conflitto e le concessioni fatte, percepite da alcuni come segni di debolezza. Hamas invece, pur rafforzando la propria immagine come difensore della causa palestinese, deve fare i conti con le aspettative di una popolazione impoverita e stremata. La frattura tra Fatah e Hamas, aggravata dal conflitto, ostacola i tentativi di unità politica palestinese, che sarebbe necessaria per affrontare con un fronte coeso i negoziati con Israele. Hamas, organizzazione politica e militare nata nel 1987 durante la prima intifada e affiliata ai Fratelli Musulmani, governa la Striscia di Gaza dal 2007, anno in cui prese il controllo del territorio. Sebbene si presenti come principale rappresentante della resistenza palestinese contro Israele, la sua legittimità e il suo ruolo restano profondamente divisivi sia all’interno della società palestinese, sia a livello internazionale. Il suo operato è spesso criticato per il carattere autoritario e per le restrizioni alle libertà civili. Nonostante ciò, una parte della popolazione lo percepisce come un simbolo di resistenza, soprattutto nei momenti più intensi del conflitto con Israele. Il suo ruolo si limita alla Striscia di Gaza e non riguarda l’intera popolazione palestinese. In Cisgiordania governa l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), guidata da Fatah; l’ANP è riconosciuta dalla comunità internazionale come l’unico rappresentante ufficiale del popolo palestinese. Molti palestinesi, sia in Cisgiordania che nella diaspora, vedono le divisioni fra Hamas e Fatah come un ostacolo significativo alla riconciliazione politica e alla costruzione di una strategia condivisa. A livello internazionale Hamas è considerata un’organizzazione terroristica da Stati Uniti, Unione Europea e altre nazioni, limitando così il suo riconoscimento diplomatico e la sua partecipazione ai negoziati ufficiali. Nello stesso tempo però Hamas riceve supporto da Paesi come Qatar e Iran, che, conseguentemente ne rafforzano la capacità operativa, mantenendo alta la tensione nella regione. Questo sostegno contribuisce a isolare Hamas e a complicare qualsiasi processo di pace inclusivo. L’assenza di una leadership palestinese unitaria mina la possibilità di un accordo stabile poiché Gaza e Cisgiordania vengono percepite come entità separate con agende spesso in conflitto. Una riconciliazione tra le due fazioni, Fatah e Hamas, sarebbe essenziale per costruire un fronte capace di rappresentare con autorevolezza le istanze dei palestinesi e migliorare le prospettive di pace nella regione. Fatah è il più antico e influente movimento politico palestinese: rappresenta storicamente il fulcro della lotta per l’autodeterminazione del popolo palestinese. Fondato nel 1959 da Yasser Arafat il movimento è il principale pilastro dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), istituita nel 1994 con gli Accordi di Oslo. L’ANP, riconosciuta a livello internazionale, oltre a governare la Cisgiordania, rappresenta il popolo palestinese nei negoziati e nelle sedi diplomatiche, inclusa l’ONU, dove l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), dominata da Fatah, è considerata il legittimo rappresentante palestinese. Fatah si distingue per il suo impegno a favore di una soluzione a due Stati, con l’istituzione di uno Stato palestinese indipendente accanto a Israele, e per la sua propensione al dialogo e ai negoziati. Questa visione lo contrappone a Hamas, che adotta un approccio più radicale e non riconosce lo Stato di Israele. Il movimento sta perdendo parte del consenso tra i palestinesi, specialmente tra i giovani, che vedono l’ANP come un’entità inefficace, corrotta e incapace di portare avanti la lotta per l’indipendenza. La politica di Fatah, basata sulla cooperazione internazionale e sui negoziati con Israele, è spesso percepita da una parte della popolazione palestinese come un compromesso debole, che non produce risultati concreti. Fatah continua a lavorare per rafforzare il riconoscimento internazionale della Palestina, come dimostrato dalle sue iniziative presso l’ONU e la Corte Penale Internazionale. La leadership di Fatah rimane impegnata a mantenere un equilibrio tra le pressioni esterne, le esigenze della comunità internazionale e le aspirazioni dei palestinesi. Nonostante le difficoltà il movimento resta il principale interlocutore per i negoziati, che hanno l’obiettivo di ottenere una soluzione politica che metta fine all’occupazione e garantisca la creazione di uno Stato palestinese indipendente. Da quanto detto, emerge che questa tregua rappresenta anche un’occasione per riflettere sull’urgenza di un approccio palestinese strutturato e unitario. Senza un cambiamento significativo di tutte le dinamiche politiche, compreso un maggiore impegno della comunità internazionale, c’è un concreto rischio che questo cessate il fuoco diventi una pausa temporanea anziché un punto di partenza per costruire una pace duratura. Il futuro del conflitto dipenderà infatti dalla volontà globale di affrontare le cause profonde di una crisi che si protrae da decenni. RR
Grammatica del mondo islamico, Medio Oriente, dialogo interreligioso, interetnico e multiculturale, questioni di geopolitica, immigrazione.
PAESI DELLA LEGA ARABA

TESTO SC.
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