Il conflitto, che rapidamente ma non inaspettatamente si è sviluppato nello Yemen, rischia di dilaniare il Paese come è avvenuto in Libano, e successivamente in Siria e in Libia. Gli scontri hanno un'origine religiosa in quanto si inseriscono nel più ampio quadro di una resa di conti fra Sciiti e Sunniti. Generalmente sono i dissidi religiosi che generano contrasti politici: al contrario la controversia fra Sciti e Sunniti in origine è stata storica e politica, in quanto riguardava chi avesse il diritto di succedere al profeta Muhammad come capo della Umma, ovvero della comunità musulmana. Poi la questione, nata da questa divergenza politica, è diventata un problema religioso, cioè di interpretazione di testi; la discordanza si concentrò in particolare sul ruolo dell'Iman, che per gli Sciti è un elemento di collegamento fra l'uomo e Dio. Pertanto, per questa confessione l'imam integra un'istituzione religiosa che al contrario è inesistente nella teologia sunnita, per la quale non esiste nessun elemento di mediazione fra l'uomo e Dio. Oggi le controversie sono tornate ad essere principalmente politiche. In proposito, l'esame delle vicende del mondo islamico (e non solo) dimostra il carattere dinamico dell'identità religiosa, non raramente subordinata a logiche di potere. Cinque secoli fa l'Iran, oggi saldamente sciita, era a maggioranza sunnita, mentre la Tunisia era sciita come anche l'Egitto. L'Università di Al Azhar del Cairo, oggi prestigiosa istituzione sunnita, è stata fondata dagli Sciiti. In altri termini, il fronte sciita e quello sunnita non sono stati mai statici in relazione a tempi di consistente durata. Tornando allo Yemen, che rapidamente si avvia verso la guerra civile, il conflitto ha natura locale, anche se con una forte proiezione regionale. I ribelli Houthi agiscono autonomamente: non sembrano avere l'ambizione di impadronirsi del potere, ma reclamano che vengano considerati i loro interessi nel processo in corso di stesura della nuova Costituzione. Tuttavia, sullo sfondo vi è l'Iran, che ovviamente solidarizza con gli sciiti Houthi non solo per motivi religiosi, ma aspirando ad assicurarsi, attraverso lo Yemen, una 'presenza' nell'area del Golfo ed una 'testa di ponte' verso l'Africa (in questo contesto riveste una particolare importanza strategica lo stretto di Bab Al Mandeb, che congiunge il Mar Rosso, il Golfo di Aden e quindi l'Oceano Indiano, e che nel tratto che separa lo Yemen da Gibuti misura solo 30 km). Dalla parte dei ribelli sono schierate naturalmente le milizie fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, deposto nel 2012. Contro gli Houthi e soprattutto contro il 'pericolo' iraniano vi è l'Arabia Saudita e le monarchie del Golfo. Da questa situazione di fatto trae vantaggio Al Qaeda nella Penisola araba (AQAP) che ancor più indisturbata può gestire i propri interessi nelle aree sotto il proprio controllo. Tuttavia, se il conflitto dovesse montare non potrebbe escludersi un coinvolgimento diretto dell'Iran da una parte, e delle potenze del Golfo dall'altra, che già lamentano le interferenze e lo sforzo dello stato persiano di fomentare contrasti religiosi fra gli Stati arabi. Per ora la contrapposizione regionale è solo potenziale. L'Isis, inviso per motivi diversi da entrambe le parti, e le sue appendici terroristiche non possono che rimanere in disparte. Questa è la buona notizia. L'unica. Roberto Rapaccini
Grammatica del mondo islamico, Medio Oriente, dialogo interreligioso, interetnico e multiculturale, questioni di geopolitica, immigrazione.
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