Qualche
giorno fa ho letto un articolo su un sito straniero[1] che
con cinico umorismo riferiva che un po' di tempo fa in Libano circolava questa
storiella. Dio, quando creò il Libano, decise di dotarlo di bellissime
montagne, di spiagge meravigliose, di ricche sorgenti di acqua, di terreni
fertili, e di abitanti operosi, intelligenti, creativi, attraenti. Infatti,
il Creatore voleva fare del Paese dei cedri una specie di
paradiso terrestre; poi però, riflettendo, decise che il Paradiso non poteva
esistere in terra, perché doveva essere esclusivamente riservato all’aldilà. Ed
allora...creò i popoli confinanti. Si tratta ovviamente di un racconto
maliziosamente bugiardo, che tuttavia è un modo allegorico per raccontare una
triste verità. Il Libano ha sempre avuto una collocazione molto particolare nel
contesto mediorientale. I motivi che diversi decenni fa hanno fatto del Libano
un’isola felice - ovvero la multiculturalità, la multietnicità, l’essere al
centro di importanti interessi finanziari e geopolitici - oggi sono all’origine
della sua instabilità politica e della sua fragilità, perché il Libano è
diventata terra di scontro in ragione dell’importanza correlata alla sua
condizione. Le vicende del Libano, pur travagliate da grandi difficoltà,
dimostrano tuttavia che è plausibile ipotizzare un modello di Stato
mediorientale, che, fondato su una nuova coscienza sociale, politica e
religiosa, può consentire l’individuazione di una via araba alla democrazia
mediante la costituzione di una società del vivere insieme, come
felicemente la definiva l’intellettuale libanese Samir Frangieh [2].
[1] Si
tratta di Lebanon as Paradise Lost da Brookings,
il sito della Brookings Institution, un'organizzazione no
profit con sede a Washington, che si pone la missione di condurre
ricerche per esplorare nuove soluzioni per risolvere i problemi che la società
deve affrontare a livello locale, nazionale e globale.