Si
sono concluse con la proclamazione della vittoria del leader dell'opposizione
le elezioni presidenziali in Nigeria. In proposito, può considerarsi
positivamente l'esito di queste consultazioni; non mi riferisco alla scelta di
Buhari come capo dello Stato, in quanto non credo che con certezza si possa
affermare al momento chi dei due candidati sia in grado di affrontare meglio le
emergenze del Paese. Penso altresì al fatto che le elezioni si sono svolte
pacificamente anche in virtù del non comune senso di responsabilità dei due
contendenti. Il Presidente uscente sconfitto, il cristiano Jonathan Goodluck,
al termine delle operazioni elettorali ha riconosciuto senza riserve la
vittoria dell'avversario, evitando così eventuali rimostranze delle frange
violente del suo partito, il Partito Democratico della Libertà; il neoeletto,
l'islamico Muhammadu Buhari, leader del Congresso di tutti i Progressisti, si è
affrettato a riconoscere i meriti del suo predecessore. Ora vengono avanzati,
in sede internazionale (soprattutto da Gran Bretagna e Stati Uniti), dubbi
sulla regolarità delle consultazioni; ci sarebbero state 'interferenze ai
seggi'. Purtroppo, eventuali brogli rappresentano una patologia fisiologica
delle giovani e precarie democrazie: si deve considerare infatti che le
elezioni politiche non sono il momento iniziale di una democrazia, ma sono
l'approdo finale di un processo di democratizzazione, in quanto il loro valido
e libero svolgimento richiede un apparato democratico e una ben formata
coscienza civica. I problemi con i quali si dovrà misurare il neopresidente
sono la frattura fra il Nord del Paese (islamico) e il Sud (cristiano), la
corruzione, la povertà endemica - più correttamente si dovrebbe dire la
disuguaglianza nella ripartizione delle ricchezze in quanto la Nigeria è un
Paese potenzialmente ricco - nonché il contrasto del movimento terroristico di
matrice islamica Boko Haram, che recentemente ha compiuto un importante salto
qualitativo: da gruppo eversivo locale, aderendo all'Isis sta divenendo parte
dell'ambizioso ed inquietante progetto dello Stato Islamico di ricostituzione
del Califfato. L'ascesa di Boko Haram si è realizzata in pochi anni. Il ‘Popolo
per la Propagazione degli Insegnamenti del Profeta e della Jihad’, meglio noto
come Boko Haram, si costituì nel 2001 come reazione alla corruzione del regime
federale e al malessere sociale dovuto alla disoccupazione. Boko Haram in
lingua Hausa (l’idioma maggiormente diffuso in Nigeria del Nord e in Niger) può
essere tradotto 'l'educazione occidentale è sacrilega'. Questo nome evidenzia
l’obiettivo della setta fondamentalista: una dura opposizione alla cultura
occidentale, corruttrice della purezza dell’Islam. Pertanto, originariamente il
Gruppo, per il suo carattere regionale, non poteva essere associato al
'jihadismo globale' dell’AQMI (Al Qaeda nel Maghreb Islamico) o di Al Shabab in
Somalia. Anche i rapporti del movimento con il terrorismo internazionale non
sono mai stati sufficientemente provati. L’incerta linea gerarchica, la
struttura poco chiara, la divisione in fazioni, una catena di comando non
univoca, rendono difficili eventuali ‘contatti costruttivi’ con le istituzioni
governative nigeriane: esiste quindi anche un problema di rappresentatività,
cioè di individuazione di chi possa parlare a nome della setta. L’acredine nei
confronti della cristianità era anche dovuta alla fede (cristiana) dell'allora
Presidente Goodluck Ebele Jonathan. I membri di Boko Haram per il loro violento
e sanguinario integralismo vengono anche definiti da una parte della stampa
internazionale 'talebani nigeriani'. Il nuovo Presidente è un rigido ex
militare: per questo da alcuni ottimisticamente è stato precisato che saprà
affrontare con fermezza ed efficacia l'emergenza terroristica, meglio del suo
predecessore. Roberto Rapaccini