Il
caso Regeni ha riportato al centro dell'attenzione l'attuale situazione interna
dell'Egitto. L'Egitto è un Paese che ha sempre avuto un'importanza strategica
particolare negli equilibri mediorientali; negli ultimi anni ha subito dei
grandi mutamenti politici che hanno cambiato la sua storia e sovvertito alcuni
consolidati equilibri. Lo scenario egiziano è costantemente stato
caratterizzato da componenti contrapposte, e, segnatamente, dal potere dei
militari, da sempre molto influenti nei momenti cruciali del Paese, dal potere dei
fondamentalisti islamici, dalla mediazione del blocco laico. Nel febbraio del
2011, a seguito delle imponenti manifestazioni a Piazza Tahir, al culmine di
quella primavera egiziana che è stata parte di quella più generale primavera i
cui moti di rivolta, di carattere laico, iniziati in Tunisia alla fine del
2010, sono poi proseguiti con effetto domino in altri Paesi Arabi, veniva
deposto il presidente Hosni Mubarak. Archiviato il regime autocratico e
corrotto di Mubarak, che aveva afflitto la popolazione con povertà, soprusi e
disoccupazione, i militari, hanno inizialmente mostrato l’aspetto di un potere
garante di quelle istanze di democraticità, di progresso, di libertà e di
giustizia, che la classe media emergente reclamava nelle manifestazioni di
piazza. Furono indette libere elezioni che portarono al potere Mohamed Morsi,
esponente della Fratellanza Musulmana. Il presidente Morsi intraprese una
politica autoritaria reprimendo le proteste e sottoponendo giudizio davanti a tribunali
migliaia di oppositori. In concreto, le parti laiche che avevano animato la
rivoluzione, progressivamente sono uscite di scena, cedendo il passo alle
istanze autoritarie e fondamentaliste, che hanno consentito a Mohamed
Morsi, primo presidente civile e islamico dell'Egitto democraticamente
eletto, l’autoattribuzione di poteri che conferivano una particolare forza alle
sue iniziative istituzionali e lo rendevano immune da controlli
giurisdizionali. La reazione della componente laica ha contribuito a spingere
l’esercito alla destituzione e all'arresto di Morsi: un vero golpe se si
considera che - come detto in precedenza - il Presidente aveva conseguito
questa carica a seguito di libere elezioni. È iniziata un'altra fase di
transizione che si è conclusa nel maggio del 2014 con l'elezione del generale
Al Sisi, esponente delle forze armate. Successivamente, al fine di stroncare
l’opposizione fondamentalista islamica, i militari cedettero alla tentazione di
mettere al bando il movimento della Fratellanza Musulmana, che lottava per il
ritorno di Morsi e che manteneva il suo ascendente su parte della popolazione e
su molte istituzioni sociali. Questa iniziativa si è rivelata un errore perché
di fatto ha cancellato la fragile demarcazione fra fondamentalismo e
terrorismo, ed ha spinto le frange estreme della Fratellanza verso una deriva
eversiva. Per la sua lotta non solo alla Fratellanza musulmana, ma a tutte le
componenti jihadiste l'Egitto di Al Sisi ha assunto rapidamente un'importanza
centrale nell'attuale scenario geopolitico. La lotta al terrorismo si svolge su
due piani. Innanzitutto si articola su un piano culturale, spingendo
l'Università e la moschea di Al Azhar, che hanno sede al Cairo e sono i
principali centri d'insegnamento religioso dell'Islam sunnita, a promuovere
un'interpretazione politicamente moderata della religione musulmana. Su un
piano militare, il contrasto del terrorismo si realizza mediante iniziative
repressive contro i gruppi violenti in Sinai e nel resto del Paese. Si deve
anche considerare che l'Egitto è uno dei pochi Paesi arabi che ha rapporti con
Israele. Per questi aspetti e per il suo carattere moderato in questo momento
la nazione egiziana è un fondamentale interlocutore per l'occidente, un
possibile ponte verso il mondo arabo. Tuttavia, nonostante il generale Al Sisi
sia un uomo di potere particolarmente solido, non sembra che il Paese e
l'apparato di governo siano completamente sotto il suo controllo. Infatti, la
forte impronta autoritaria del regime è significativamente indebolita
dall'ostilità dei Fratelli Mussulmani, messi frettolosamente al bando per il pericolo
che favorissero una forte islamizzazione del Paese. La gestione della
collaborazione fra autorità italiane e maestranze egiziane per l'accertamento
delle responsabilità per la morte del ricercatore italiano quindi si colloca
anche nel contesto di questi delicati equilibri interni. Roberto Rapaccini