La
vicenda relativa alla nomina di Fiamma Nirenstein a nuova ambasciatrice di
Israele a Roma, e alla sua successiva rinuncia dopo più di cinque mesi
dall'indicazione da parte dello stesso Netanyahu, provano che le opzioni
politiche di Israele stanno attraversando un momento nel quale si confrontano
posizioni discordanti. Fiamma Nirenstein è una nota giornalista, pubblicista e
scrittrice di origine ebraica con cittadinanza italiana, ora israeliana, molto
attiva anche come blogger. Fiamma Nirenstein, eletta come candidata nelle liste
del Popolo delle Libertà, è stata parlamentare dal 2008 al 2013, ricoprendo
importanti incarichi nel corso della legislatura. Nel 2013 Fiamma Nirenstein si
è trasferita in Israele; nell'agosto dello scorso anno (2015) è stata designata
ambasciatrice di Israele a Roma direttamente dal primo ministro Benjamin
Netanyahu, del quale la giornalista israeliana ha in più occasioni manifestato
di condividerne pienamente le linee politiche. Da più parti sono state
manifestate perplessità nei confronti di questa designazione. Il popolare quotidiano
indipendente di Tel Aviv, Haaretz, vicino alla sinistra israeliana e spesso
critico nei confronti del governo, ha apertamente assunto una posizione
contraria alla nomina. L'autorevole giornale ha rivelato che il presidente del
consiglio italiano Renzi, riservatamente e attraverso canali informali, avrebbe
espresso riserve su questa decisione del governo israeliano, invitandolo ad un
ripensamento. L'inopportunità della designazione scaturirebbe da un potenziale
conflitto di interessi in cui potrebbe trovarsi la neo diplomatica in relazione
ai pregressi trascorsi istituzionali e politici in Italia. Le riserve del
governo italiano sono state smentite da fonti di Palazzo Chigi. Probabilmente
anche l'orientamento politico della neo designata ha inciso sulle posizioni
contrarie al mandato. Si è anche precisato che il figlio della ex parlamentare
presta servizio nell'intelligence italiana, e anche questo elemento,
considerato il carattere delicato dell'incarico investigativo, non verrebbe
visto con favore in quanto esigenze di prudenza e riservatezza prescrivono in
linea di massima l'inopportunità di legami significativi del personale dei
servizi di sicurezza con dipendenti e funzionari diplomatici di altri Paesi. La
testata giornalistica israeliana ha anche ricordato che Fiamma Nirenstein
alcuni anni fa avrebbe espresso valutazioni negative su Sarah Netanyahu, la
moglie del Premier. La circostanza non sembra aver tuttavia influito sui
rapporti fra il leader israeliano e la sig.ra Nirenstein. Anche esponenti della
comunità ebraica italiana, conferendo particolare rilievo al possibile
potenziale conflitto di interessi di cui si è detto in precedenza, relativo ai
trascorsi istituzionali italiani, hanno evidenziato che queste passate
esperienze potrebbero incidere sulla lealtà del neo diplomatico nello
svolgimento del delicato incarico. In proposito, Fiamma Nirenstein, per evitare
questa confusione di ruoli, dopo la nomina ad ambasciatore ha prontamente
rinunciato alla cittadinanza italiana. In ogni caso qualche giorno fa, ponendo
termine alle polemiche, Fiamma Nirenstein ha annunciato di voler rifiutare la
designazione, pur ribadendo il suo impegno a concorrere nel miglior modo
possibile al bene dello Stato di Israele. Anche la nomina, sempre da parte di
Netanyahu, del nuovo ambasciatore in Brasile, Dani Dayan, l'ex leader del
movimento dei coloni, al momento sta incontrando difficoltà, in quanto non è
stato ancora espresso il richiesto gradimento del governo brasiliano. Queste
vicende sembrano il riflesso di un momento di non particolare popolarità di
Netanyahu. Per quanto riguarda la politica interna l'ultima sua elezione, da
quanto emerse dai sondaggi che hanno preceduto le consultazioni, sembra essere
stata motivata più dalla paura di cambiamenti nel contesto di una congiuntura
così delicata, che da una reale convinzione degli elettori. Nella società
israeliana sono sempre più numerosi i segnali che auspicano una composizione
della questione palestinese, presupposto per un futuro di pace. Sembra esserci
pertanto una frattura fra la gente comune, stanca delle rigidità e delle
posizioni preconcette governative che costringono ad una vita in trincea e
sotto assedio, e l'attuale leadership politica. Anche a livello internazionale
probabilmente i tempi sono maturi per dei cambiamenti strategici che consentano
a Israele di uscire da una condizione che di fatto lo allontana da numerosi
partner. In proposito, Israele potrebbe sfruttare sia i dissidi all'interno del
mondo sunnita che stanno indebolendo i suoi tradizionali rivali arabi, sia
l'attuale congiuntura internazionale caratterizzata dalla contrapposizione
dei Paesi occidentali al fronte islamico fondamentalista, per ritagliarsi un
ruolo politico più attivo nell'ambito della comunità internazionale. Il premier
Netanyahu continua a mantenere una ferma chiusura nei confronti dell'Iran, che
sembrarebbe preconcetta, e non tiene presente che un avvicinamento alla
Repubblica Islamica destabilizzerebbe i consolidati equilibri mediorientali,
che creano una cortina di isolamento intorno ad Israele. Al riguardo, l'Iran -
nonostante un ufficiale atteggiamento anti israeliano che sembra dettato
soprattutto dalla necessità di rassicurare la base popolare circa la fedeltà
agli ideali della rivoluzione - ha cessato di finanziare il movimento
terroristico Hamas, principale nemico di Israele, ora probabilmente supportato
dalle monarchie saudite. Questa nuova politica della Repubblica Islamica è un
aspetto da non trascurare. Al contrario l'attuale leadership israeliana non
sembra aver colto o dato importanza a questi segnali di cambiamento che
potrebbero suggerire di intraprendere, con un po’ di coraggio, nuove linee
strategiche. Tuttavia si deve tener presente che sulla prudenza della politica
estera israeliana, fedele ai rigidi consolidati stereotipi, forse influisce
anche l'ambiguità dell'attuale politica estera americana, che non rassicura
come in passato, l'alleato israeliano. Roberto Rapaccini