La
questione è nota. A Bologna una ragazzina di 14 anni originaria del Bangladesh
ha manifestato ripetutamente la volontà di non indossare il velo 'islamico'; la
madre, che esigeva che lei e le sue sorelle non uscissero mai da sole e
non instaurassero rapporti con i loro coetanei maschi, per punizione le ha
rasato completamente i capelli. I servizi sociali competenti, d'intesa con la
procura per i minorenni, conosciuto l'episodio, hanno allontanato dalla
famiglia la ragazza, che attualmente, insieme alle sue sorelle, è ospitata in
una struttura protetta; i genitori invece sono stati denunciati dai carabinieri
per maltrattamenti. Come capita ormai abitualmente la strumentalizzazione
mediatica, unita a latenti tentazioni islamofobe, ha generalizzato questa vicenda
attribuendole dignità di circostanza emblematica di una cultura lontana e in
conflitto con quella occidentale, supportando così la tesi di Samuel Huntington
sullo 'scontro di civiltà'. Secondo le deduzioni dello studioso statunitense le
fonti attuali dei conflitti fra i popoli non sarebbero né di natura ideologica
né legate a rivendicazioni economiche, ma troverebbero la loro origine nelle
differenti identità religiose e culturali: in questo scenario andrebbe
collocato il confronto in atto fra Islam e Occidente. Tuttavia alcune
riflessioni inducono a formulare diverse valutazioni sulla vicenda in
questione. Preliminarmente va precisato che gli specifici abbigliamenti delle
donne musulmane non sono prescritti dal Corano - che si limita a suggerire
abiti rispettosi del pudore femminile - ma sono imposti da codici e tradizioni
locali; ed infatti non tutte le donne musulmane indossano il velo.
Il fatto sembrerebbe invece il prodotto di un conflitto generazionale,
analogamente a quello che potrebbe accadere nelle famiglie occidentali quando i
genitori non comprendono le condotte dei figli a causa di differenti abitudini
ed esperienze, o di una diversa formazione culturale e, talvolta, religiosa. Il
rispetto delle tradizioni non va nemmeno confuso con il rifiuto di laicità.
Negli anni ’60 i musulmani immigrati nei Paesi europei cercavano di integrarsi
abbandonando spontaneamente l’abitudine di portare gli indumenti tipici dei
Paesi di provenienza. Attualmente il gap generazionale fra padri e figli nelle
famiglie islamiche 'occidentali' si esprime attraverso due atteggiamenti
opposti: o attraverso il ritorno all’uso del niqab, dello chador,
del burqa e del qamis come mezzo per rivendicare
l’appartenenza a una cultura diversa da quella corrente, o attraverso l'omologazione
allo stile di vita occidentale. Peraltro nei giovani si riscontrano spesso due
esigenze confliggenti che non raramente alimentano un acceso rapporto
dialettico con i genitori: la necessità di ribellarsi per affermare
l'originalità della propria individualità, e quella 'autoconservativa' di
conformarsi ai canoni della società. Roberto Rapaccini