La
Juventus ha difficoltà a trovare un campo in cui disputare le proprie partite.
Ovviamente non si tratta del club torinese ma della Juventus des Cayes che,
dopo il passaggio devastante ad Haiti dell’uragano Matthew nell’ottobre del 2016,
non ha più la sede e il proprio impianto in erba sintetica nella penisola di
Tiburon. Senza campo ma con un grande cuore la Juventus des Cayes valendosi di
giocatori locali ha cominciato a scalare le categorie dei campionati di calcio
nazionali fino al raggiungimento della massima serie. Coltiva la speranza di
vincere prima o poi lo scudetto: le sue aspirazioni si alimentano della
possibilità di un supporto da parte della sorella maggiore torinese. Le
vicende della Juventus des Cayes sono emblematiche di quelle attuali di Haiti,
che dopo aver subito la furia rovinosa di un terribile terremoto si sta
faticosamente risollevando grazie alla solidarietà internazionale, alla
generosa tenacia dei suoi cittadini, alla loro insopprimibile vitalità. Il
microcosmo della società sportiva haitiana è immagine di un calcio diverso da
quello al quale siamo abituati, quello che vive sotto volte dorate e necessita
di ingenti e inquietanti flussi di denaro. Confrontando il calcio haitiano con
quello europeo, sarebbe banale scandalizzarsi degli esorbitanti ingaggi dei
calciatori che giocano in Europa dal momento che l’entità dei loro appannaggi è
un’applicazione della legge più semplice del libero mercato, secondo la quale
il valore economico di un bene o di una prestazione è il risultato della
dialettica fra domanda e offerta. Resta tuttavia eticamente inaccettabile che
nel mondo ci siano individui o gruppi economici che possano disporre di
capitali così abnormi, e che li possano destinare con tanta disinvoltura alla
retribuzione di calciatori. Tutto questo è difficilmente tollerabile se si
pensa che solo una parte di queste somme sarebbe sufficiente a debellare
malattie o potrebbe essere utilizzata per sottrarre alla fame e alla povertà
l’intera popolazione mondiale. Ho sempre pensato che la parabola evangelica
della moltiplicazione dei pani e dei pesci celasse simbolicamente un monito:
una piccola quantità di beni (nella metafora evangelica cinque pani e due
pesci) se equamente distribuita è sufficiente a soddisfare i bisogni di tutta
la collettività. Al contrario una decina di uomini possiede la stessa ricchezza
della rimanente parte della popolazione mondiale. Influenti gruppi finanziari
continuano ad alimentare la disuguaglianza mediante il ricorso all’evasione
fiscale o massimizzando i profitti anche a costo di ridurre oltre il valore
minimo i salari e usando il loro potere per influenzare la politica. Nel
frattempo la moltitudine che subisce le ristrettezze dell’attuale congiuntura
economica, cieca come il volgo manzoniano, plaude agli attori
del calcio milionario. Roberto Rapaccini