Il caso 'Regeni' si è arricchito in questi giorni di un ulteriore doloroso
capitolo: l'Università inglese di Cambridge, presso la quale il ricercatore
italiano svolgeva i suoi studi, ha manifestato l’intenzione di non collaborare
con gli inquirenti italiani e in particolare di non fornire indicazioni sulla
corrispondenza tra lo studioso ucciso al Cairo e i docenti inglesi suoi
referenti. Dal carteggio intercorso con l'ateneo inglese sarebbero potuti
emergere elementi utili per comprendere i moventi dell'oscuro delitto. Giulio
Regeni era in contatto con la professoressa Anne Alexander, che aveva a lungo
studiato i sindacati egiziani e il movimento islamista dei Fratelli Musulmani,
che, come noto, è attualmente fuori legge in Egitto. La Alexander è un'attivista
particolarmente impegnata nella contestazione del Presidente Al Sisi. Dopo la
tragica fine del ricercatore italiano la professoressa Alexander ha subito
precisato di non conoscere i dettagli del lavoro che Giulio stava svolgendo
all'estero, difendendo inoltre la professionalità dei 'supervisori' che
dovevano seguire la sua ricerca e proteggerlo dalla sua giovanile ed esuberante
curiosità intellettuale in un contesto come quello del Cairo, cioè in una città
piena di insidie, nella quale è pericoloso anche parlare con i passanti dal
momento che le strade sono piene di spie e di informatori. Non è difficile dare
significato alla condotta dell'università di Cambridge. Probabilmente l'Ateneo
inglese con il suo silenzio ha cercato di evitare che gli venissero attribuite
responsabilità morali per la morte del ricercatore, ovvero che in concreto gli
venisse imputata la colpa di non aver intuito e di aver sottovalutato i rischi
a cui si stava esponendo lo studioso italiano con le sue iniziative
accademiche. Il silenzio dell'università - che di fatto ha rifiutato la
collaborazione ad un magistrato di un Paese amico - è in palese contraddizione
con l'appello che venne inoltrato dall'Ateneo stesso al governo britannico all'indomani
della drammatica morte di Regeni. Con quel documento si chiedeva che
fossero svolte indagini accurate e indipendenti affinché si facesse piena
luce sull'omicidio. Sarebbe particolarmente squallido se il censurabile
atteggiamento dell'università inglese fosse strumentale ad evitare di fornire
elementi che potrebbero essere utilizzati per una richiesta di risarcimento da
parte dei familiari di Regeni per averlo esposto a fatali pericoli; in altri
termini la censurabile condotta potrebbe essere dettata dall’intento di
sottrarsi all'eventualità che la responsabilità da morale si trasformi in
responsabilità giuridica. Se così fosse si tratterebbe di una decisione
eticamente inaccettabile, perché equivarrebbe a rinunciare alla possibilità che
si faccia piena luce su una tragica palese violazione di diritti fondamentali,
che riguarda un proprio collaboratore, per tutelare i propri beni patrimoniali
dal rischio di un'aggressione radicata su una pronuncia giudiziaria
sfavorevole. Ci si chiede, se quest'ultima ipotesi fosse fondata, con quale
autorità morale potrebbe in futuro atteggiarsi un ateneo che compia una scelta
di questo genere? Roberto Rapaccini