Spesso
al termine Islam viene associato l’aggettivo ‘politico’. Questo attributo,
salvo che si vogliano enfatizzare aspetti peculiari della religione musulmana,
è inutile in quanto non aggiunge, né qualifica o circoscrive la parola a cui si
riferisce. L’Islam è ‘politico’, in quanto, prima di essere una religione, è
un’ideologia. La fede religiosa infatti può essere vissuta in due modi: o
come rapporto individuale tra l’uomo e il trascendente, o come dimensione
afferente alla collettività. In questo secondo caso è uno strumento per
l’affermazione di un assetto sociale ispirato a un’etica confessionale.
L’adesione a una fede religiosa, anche quando rimane confinata nella sfera
individuale, ha spesso una proiezione esterna, in quanto può chiedere al fedele
il proselitismo (l’apostolato per i cristiani), ovvero iniziative finalizzate
ad estendere la condivisione della fede. Come corollario nella società civile
anche in questo caso si diffondono principi di matrice confessionale (ad
esempio, la solidarietà e la fratellanza nel caso del Cristianesimo). Tuttavia
in questa ipotesi la trasformazione della società è solo un effetto del
proselitismo, non il suo obiettivo principale. Quando invece la fede è vissuta
come ideologia, come nel caso dell’Islam, al proselitismo si sostituisce la
militanza, cioè l’impegno collettivo dei fedeli per promuovere con ogni mezzo,
compreso il ricorso alla violenza, l’instaurazione di un ordine sociale nel
quale le leggi civili sono sostituite progressivamente da un ordinamento
plasmato sulla legge divina. Anche nei Paesi a maggioranza islamica che cercano
con apprezzabile intenzione di percorrere la via della democrazia e della
laicità (come la Tunisia), il Corano rimane uno strumento di riferimento
irrinunciabile, in quanto negli ordinamenti di questi Paesi in maniera
esplicita o implicita sono previsti meccanismi istituzionali che in concreto
evitano che la vita civile si articoli in maniera contraddittoria o semplicemente
autonoma dai principi dell’Islam. Roberto Rapaccini