Il
principe Mohamed Bin Salman, reggente dello Stato saudita ancora formalmente
guidato dall’ultraottantenne padre, ha intrapreso una decisa azione per
contrastare la corruzione. Nel corso dell’operazione sono stati arrestati
miliardari, principi, ministri, membri della famiglia reale. Apparentemente si
tratta di tentativi di cambiare il volto del Paese,cacciando corrotti e
fondamentalisti wahabiti allo scopo di promuovere un Islam moderato. Questi
provvedimenti giudiziari sarebbero propedeutici ad un progetto di
moralizzazione finalizzato alla modernizzazione del Paese attraverso riforme
radicali. In realtà queste clamorose iniziative sono articolazioni della lotta
di potere in atto per la successione al trono: gli aspiranti sono più di una
dozzina, e Salman sta cercando di liberarsi di scomodi pretendenti. L’attuale
instabilità dell’Arabia Saudita conseguente all’attuale situazione
istituzionale interna, oltre a preoccupare gli investitori, ha generato una
grave crisi finanziaria causata dalla fuga dei capitali a rischio di
congelamento da parte delle autorità. Nel contesto mediorientale l’Arabia
Saudita sta vivendo un momento di difficoltà: di fatto ha perso la guerra in
Siria, quella nello Yemen si è cronicizzata in un conflitto dagli esiti
imprevedibili, la leadership regionale sunnita nell’area del Golfo è
pericolosamente insidiata da quella sciita iraniana. Il tentativo di
destabilizzare il Libano - che probabilmente è dietro alle strane dimissioni
del primo ministro libanese Hariri mentre si trovava a Ryad - è quindi
presumibilmente uno strumento della monarchia per riacquistare un ruolo
internazionale di primo piano. Roberto Rapaccini