L’islamizzazione
del continente africano è in costante aumento. Per contrastare questo processo
è necessario conoscerne le cause. Innanzitutto il proselitismo islamico, che
spesso procede parallelamente all’espansione fondamentalista, è facilitato dai
matrimoni misti fra musulmani e cristiane, a seguito dei quali le donne non
solo abbandonano la loro fede ma non possono nemmeno condizionare l’educazione
religiosa dei figli. Inoltre alcuni Stati musulmani del medio e vicino oriente
mettono a disposizione di studenti africani borse di studio che consentono ai
più meritevoli di recarsi in nazioni arabe per una formazione professionale,
che ha sempre anche una marcata impronta confessionale. I giovani che possono
avvalersi di queste opportunità spesso si convertono all'Islam: al loro ritorno
questi neoislamici sono destinati a integrare la futura classe dirigente dei
rispettivi Paesi di provenienza. A questo quadro si aggiungono le
iniziative dell’Arabia Saudita, che finanzia la costruzione di moschee e
fornisce sostegno economico a chi voglia intraprendere un’attività professionale.
La monarchia saudita approfitta di queste attività per diffondere il pensiero
islamico, che è anche un’ideologia politica e uno stile di vita esteriore.
L’Occidente deve evitare che un tale contesto possa essere terreno fertile per
lo sviluppo di frange fondamentaliste. In proposito il primo obiettivo da
perseguire è favorire in ogni modo il mantenimento del carattere laico delle
istituzioni dei Paesi africani. Questo fine può essere conseguito anche con il
generoso contributo delle missioni religiose, che possono contenere le
derive jihadiste non solo promuovendo l’evangelizzazione attraverso
le attività di formazione spirituale e di solidarietà sociale, ma anche
promuovendo ogni mezzo che supporti la comprensione
interreligiosa. Pertanto, nonostante le manifestazioni di ostilità e
l’aggressività del radicalismo islamista contro i cristiani, le missioni
generalmente esprimono una considerazione positiva dell’Islam al fine di non
compromettere qualsiasi possibile forma di dialogo. Analogamente le missioni in
Africa svolgono iniziative assistenziali contro la miseria e contro le malattie
nei confronti della popolazione a prescindere dalle scelte religiose
individuali: i missionari così non solo non enfatizzano, ma minimizzano le
cause dell’odio nei loro confronti, che spesso hanno la loro fonte nella
predicazione violenta degli estremisti islamici, ed evitano così di creare i
presupposti per una guerra di religione lasciandosi coinvolgere in
essa. Paradigmatica della situazione dei cristiani in Africa è la loro
condizione in Nigeria; qui sono minacciati non solo dal fondamentalismo
islamista e dalle derive terroristiche di Boko Haram, ma anche dagli scontri
etnico-tribali, dagli incerti equilibri di potere, dalle ingiustizie e dalle
violenze. I cristiani sono inoltre discriminati in tutti gli aspetti della vita
quotidiana. A proposito delle missioni cristiane, mi viene in mente
una frase dello scrittore bengalese Tagore: “Sognai, e vidi che la vita è
gioia; mi destai, e vidi che la vita è servizio. Servii, e vidi che nel servire
c’è gioia”. Ci deve anche motivare verso il bene e l’altruismo la constatazione
che quello facciamo per noi muore con noi, mentre quello che facciamo per gli
altri sopravvive alla nostra morte. Roberto Rapaccini
Grammatica del mondo islamico, Medio Oriente, dialogo interreligioso, interetnico e multiculturale, questioni di geopolitica, immigrazione.
giovedì 12 novembre 2020
AFRICA, LA CRESCENTE ISLAMIZZAZIONE E LA PRESENZA CRISTIANA (30 marzo 2018)
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