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PAESI DELLA LEGA ARABA

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La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

domenica 23 marzo 2025

CONFLITTO UCRAINA-RUSSIA DOPO GEDDA SARÀ TREGUA O SOLO UN’ ILLUSIONE DI PACE?

 



Il recente incontro di Gedda ha rappresentato un momento di svolta, almeno potenziale, nella lunga e sanguinosa guerra tra Russia e Ucraina. Dopo oltre due anni di conflitto, con il rischio di una escalation regionale e globale, un possibile cessate il fuoco di 30 giorni ha riacceso qualche speranza. La proposta di tregua, avanzata dagli Stati Uniti, è stata accolta da Kiev. Gli ucraini, pressati dalla stanchezza di un conflitto estenuante e consapevoli dei limiti delle proprie forze armate, sono disponibili ad aderire ad un cessate il fuoco condizionato. La condizione essenziale è che anche la Russia lo rispetti. In cambio Washington ha promesso la ripresa immediata degli aiuti militari e della cooperazione di intelligence, congelati per alcuni mesi a causa di incertezze politiche interne negli Stati Uniti e di frizioni con l’amministrazione di Zelensky. La risposta del Cremlino è stata molto cauta, se non fredda. Il portavoce di Putin ha dichiarato che è prematuro parlare di posizioni, lasciando intendere che Mosca non ha fretta di fermare le operazioni militari. Nonostante il negoziato, la Russia ha continuato a bombardare massicciamente Kiev, Kharkiv e Sumy con droni e missili, causando ulteriori vittime civili. La posizione russa è ambivalente. Da un lato la disponibilità a partecipare a discussioni diplomatiche suggerisce che Mosca voglia prendersi una pausa tattica, forse per consolidare i territori occupati o riorganizzare le proprie forze. Dall’altro lato la prosecuzione degli attacchi indica che la Russia non è ancora soddisfatta delle conquiste sul terreno e mira a ottenere un vantaggio maggiore prima di sedersi al tavolo delle trattative. Putin, dopo le vittorie militari degli ultimi mesi, potrebbe voler forzare ulteriormente la mano prima di accettare un accordo, ben consapevole che una tregua congelerebbe lo status quo. Questo implicherebbe per la Russia il controllo di ampie porzioni del Donbass e, di fatto, anche della Crimea. L’attivismo diplomatico statunitense riflette la volontà di Trump di dimostrare risultati concreti sul fronte internazionale. Dopo essere tornato alla Casa Bianca, Trump ha puntato molto sul tema della pace come carta politica, tentando di porsi come l’unico leader capace di fermare le guerre. La sua pressione su Putin per accettare il cessate il fuoco va letta in questa chiave, anche se al momento il leader russo non sembra intenzionato a farsi dettare le condizioni. L’annuncio del ripristino degli aiuti militari e di intelligence a Kiev è un segnale forte. Dopo mesi di incertezza il supporto occidentale all’Ucraina si rafforza nuovamente. L’Unione Europea e il Regno Unito manifestano la volontà di assumere un ruolo rilevante nella gestione della crisi, ovvero diventare possibili garanti di una futura architettura di sicurezza per l’Ucraina. L’Europa si trova stretta tra il sostegno militare a Kiev e la necessità di evitare un’escalation diretta con Mosca. La sfida sarà trovare un equilibrio tra il mantenimento dei principi fondamentali del diritto internazionale (come il divieto dell’uso della forza e il rispetto della sovranità territoriale) e la realpolitik, che spesso impone compromessi dolorosi. La prospettiva più concreta sembra quella di una tregua fragile, destinata a trasformarsi in un conflitto congelato, come già avvenuto in Crimea dal 2014 in poi. Un cessate il fuoco di facciata potrebbe solo rimandare le ostilità senza risolvere le cause profonde della guerra, ovvero la contesa sulla sovranità dell’Ucraina, la sicurezza dei confini orientali dell’Europa e l’espansione dell’influenza russa nello spazio post-sovietico. Sullo sfondo un dibattito ampio sulla crisi del diritto internazionale. La possibilità che aggressori ottengano concessioni territoriali attraverso la forza rischia di minare il principio secondo cui l’uso della forza per modificare i confini è inaccettabile. Ma, come spesso accade, i negoziati di pace non seguono soltanto la logica dei principi giuridici, bensì quella degli equilibri di potere. L’Ucraina si mostra disposta a cercare una via d’uscita, mentre la Russia sembra voler dettare i tempi e le condizioni di qualsiasi accordo. Gli Stati Uniti provano a riassumere la leadership delle trattative, ma la realtà sul terreno è ancora dominata dalle armi. L’Europa resta il possibile ago della bilancia, ma i margini per un compromesso giusto e duraturo sono strettissimi. L’incontro di Gedda si è inserito in un contesto geopolitico profondamente mutato rispetto all’inizio delle ostilità tra Russia e Ucraina. La guerra ha travalicato i confini regionali per assumere una dimensione globale, intaccando equilibri economici, politici e strategici che si davano per acquisiti. In questo scenario, la proposta di una tregua temporanea, per quanto fragile e incerta, ha un valore che va ben oltre il cessate il fuoco contingente: rappresenta un banco di prova per la tenuta delle relazioni internazionali e per la credibilità delle potenze coinvolte. La guerra in Ucraina ha messo a nudo l’incapacità di molte istituzioni internazionali di prevenire e gestire crisi di questa portata. L’ONU è rimasta ai margini del negoziato, paralizzata dal veto russo nel Consiglio di Sicurezza. L’OSCE ha visto il suo ruolo drasticamente ridotto mentre l’Europa si è trovata costretta a rincorrere gli eventi, piuttosto che a guidarli. L’ iniziativa diplomatica americana colma questo vuoto, ma lo fa seguendo una logica che privilegia gli interessi nazionali statunitensi e non una visione condivisa e multilaterale di pace. Le dinamiche interne ai due Paesi protagonisti del conflitto sono un ostacolo. In Ucraina la disponibilità al negoziato coesiste con il sentimento nazionale che rifiuta qualsiasi concessione territoriale, che sarebbe percepita come una resa. In Russia il controllo  quasi assoluto dell’informazione da parte del Cremlino e il nazionalismo fomentato dal governo rendono difficile immaginare un epilogo che non sia presentato come una vittoria. Inoltre, le mosse di Putin oscillano tra la disponibilità al dialogo e l’intensificazione delle operazioni militari, segno di una strategia finalizzata a guadagnare tempo e a rafforzare la propria posizione negoziale. Sul piano più ampio il conflitto e il difficile tentativo di mediazione pongono l’Occidente di fronte a una scelta molto importante: mantenere un sostegno incondizionato all’Ucraina nella difesa della propria integrità territoriale, rischiando però un confronto diretto con Mosca, oppure accettare un compromesso che di fatto sanzioni il principio che la forza può ridefinire i confini. Qualunque sarà l’esito le conseguenze si faranno sentire a lungo, non solo nei rapporti tra Russia e Occidente, ma anche su altri scenari globali, dove potenze emergenti e attori regionali potrebbero trarre lezione da quanto accaduto per perseguire propri interessi con metodi analoghi. Infine, resta da valutare l’impatto umano della tregua. Dopo anni di devastazione milioni di civili attendono un cessate il fuoco che consenta almeno un temporaneo sollievo. Tuttavia, la storia recente insegna che le guerre congelate spesso perpetuano insicurezza, tensioni e instabilità, condannando le popolazioni coinvolte a vivere nell’incertezza senza vere prospettive di pace. La sfida, dunque, sarà trasformare questa fragile finestra diplomatica in un processo di pace autentico e duraturo, capace di affrontare le radici profonde del conflitto. Il prossimo mese sarà decisivo per capire se la tregua di 30 giorni potrà trasformarsi in qualcosa di più solido o se si rivelerà solo l’ennesima pausa in una guerra che ha cambiato il volto della sicurezza internazionale. Roberto Rapaccini