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PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

sabato 1 febbraio 2025

IL CASO ALMASRI: TRA RAGION DI STATO, REALPOLITIK, ORDINAMENTO INTERNAZIONALE


L’arresto e il rilascio di Najeem Osama Almasri, comandante della polizia libica, rappresentano un caso emblematico in cui Ragion di Stato, Realpolitik e Ordinamento internazionale si sovrappongono, sollevando interrogativi su quali siano i confini tra sicurezza e giustizia internazionale. L’episodio ha acceso polemiche e messo in luce le difficoltà di bilanciare strategia politica e rispetto delle norme giuridiche. I fatti sono noti e ampiamente discussi, ma restano interpretazioni divergenti, condizionate da letture polarizzate ideologicamente. Arrestato a Torino in esecuzione di un mandato della Corte Penale Internazionale (CPI), Almasri era accusato di crimini contro l’umanità per il suo ruolo nella prigione di Mitiga, luogo tristemente noto per torture e abusi. L’operazione sembrava inizialmente un atto di cooperazione tra l’Italia e la giustizia internazionale, un segnale chiaro contro l’impunità, indipendentemente da rapporti diplomatici o convenienze politiche. Ragion di Stato e diritto internazionale sembravano allinearsi: l’Italia, membro dell’accordo per l’istituzione della Corte, avrebbe eseguito il mandato senza esitazioni. Ma poche ore dopo il ribaltamento: la Corte d’Appello di Roma ha dichiarato irrituale il fermo, sostenendo che il mandato necessitava di un'autorizzazione preventiva del Ministero della Giustizia. Ne è seguita la scarcerazione e il rimpatrio su un volo di Stato. Qui emerge la logica della Realpolitik: il governo italiano, probabilmente consapevole delle implicazioni diplomatiche, ha scelto di non compromettere i rapporti con la Libia, partner strategico per il controllo dei flussi migratori e per la stabilità mediterranea. Con il rilascio di Almasri si è privilegiato il pragmatismo politico. In proposito, prima del suo arresto in Italia Almasri, avrebbe  intrapreso un viaggio attraverso diverse città europee. Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche il libico sarebbe partito da Tripoli il 6 gennaio con un volo diretto a Londra, dove è rimasto per circa una settimana. Il 13 gennaio si sarebbe spostato in treno a Bruxelles, per poi proseguire in auto verso Bonn, in Germania, e successivamente a Monaco di Baviera. Durante il suo soggiorno tedesco, sarebbe stato sottoposto a un controllo stradale dalla polizia locale, ma sarebbe stato lasciato proseguire poiché al momento non era stato ancora emesso il mandato di arresto nei suoi confronti. Il 16 gennaio avrebbe noleggiato un'auto con l'intenzione di riconsegnarla a Fiumicino, in Italia. Il 18 gennaio è giunto a Torino, dove ha assistito alla partita Juventus-Milan. Il giorno successivo, 19 gennaio, è stato arrestato dalla polizia italiana in esecuzione del mandato emesso dalla Corte Penale Internazionale il 18 gennaio 2025, il giorno in cui il libico è giunto a Torino. Questa tempistica induce a ritenere che solo il 18 gennaio e non prima la Corte Penale Internazionale ha avuto tutti gli elementi necessari per chiedere l’arresto. Il rilascio del libico ha provocato la reazione della CPI che ha denunciato il mancato rispetto degli obblighi di cooperazione giudiziaria. L’episodio solleva una questione cruciale: fino a che punto uno Stato può sacrificare il rispetto delle regole per proteggere i propri interessi? La giustizia internazionale può essere subordinata a valutazioni politiche? Se la Ragion di Stato può giustificare scelte difficili per garantire la stabilità del Paese, quando diventa uno strumento per aggirare la giustizia, la credibilità dello Stato nel rispetto degli accordi internazionali potrebbe uscirne compromessa. Quali sono i limiti della Ragion di Stato? Trattati come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo impongono vincoli precisi, impedendo che la Ragion di Stato diventi un pretesto per giustificare abusi. Il controllo democratico è essenziale: Parlamento e Magistratura devono vigilare non travalicando l’ambito delle attribuzioni e delle competenze istituzionali. Anche il dibattito in seno all’opinione pubblica può svolgere un ruolo importante purché ispirato a serena obiettività. Rileva anche il principio di proporzionalità: le misure adottate per Ragion di Stato devono essere adeguate alla minaccia, evitando limitazioni ingiustificate. La trasparenza è un altro cardine che però deve tener conto del fatto che non tutto può essere rivelato. La cultura della totale trasparenza delle attività dello Stato è un’utopia, quando entrano in gioco sicurezza nazionale, protezione della privacy, necessità di riservatezza in ambiti strategici. Inoltre, la complessità dei dati renderebbe difficile una comprensione chiara per tutti. Anche il rischio di manipolazione politica e resistenze interne impediscono un’apertura totale. Tuttavia, in una democrazia la trasparenza rimane uno strumento di grande importanza: sapere come vengono prese le decisioni e come vengono gestite le risorse pubbliche è essenziale per il controllo democratico. Ma, come già affermato in precedenza, questo non significa che lo Stato debba rivelare tutto. Esistono ambiti in cui il segreto è indispensabile. Segnatamente, pensiamo alla sicurezza nazionale: rivelare informazioni riservate su operazioni militari, strategie di difesa o piani antiterrorismo potrebbe mettere a rischio la stabilità del Paese e la vita di molte persone. Lo stesso vale per le iniziative dei servizi segreti, che richiedono la discrezione al fine di garantire efficacia alle attività istituzionalmente attribuite. Anche la diplomazia si fonda su una certa riservatezza. Gli accordi internazionali più delicati spesso vengono negoziati in segreto prima di essere resi pubblici. Se tutto venisse rivelato immediatamente, le trattative potrebbero saltare, compromettendo la possibilità di trovare soluzioni a crisi politiche o conflitti. Un altro campo in cui la segretezza è necessaria è quello delle indagini giudiziarie. Durante un’indagine su crimini complessi, il segreto istruttorio protegge il corretto svolgimento della giustizia, evitando che le informazioni trapelate possano inquinare le prove o permettere ai responsabili di sfuggire alla legge. Anche in situazioni di emergenza, come una pandemia, i governi a volte decidono di rilasciare le informazioni gradualmente per evitare il panico e garantire una gestione più efficace della crisi. Tuttavia, se da un lato la segretezza è talvolta indispensabile, dall’altro non deve diventare uno strumento di abuso di potere o per privilegiare interessi personali. Qui sta il punto centrale: lo Stato non deve rivelare tutto, ma deve rendere conto delle proprie scelte. Oltre al Parlamento e alla magistratura, esistono altri strumenti per garantire un controllo sulla gestione delle informazioni riservate. In particolare, il giornalismo investigativo deve avere la libertà di indagare su questioni di interesse pubblico, senza il rischio di censure o ritorsioni. E i cittadini devono poter accedere a documenti e informazioni che, dopo un certo periodo, vengono declassificati, permettendo di analizzare le scelte compiute dai governi nel tempo. In definitiva, non si può pretendere che lo Stato renda pubbliche tutte le informazioni in tempo reale, ma è essenziale che esista un meccanismo di trasparenza e controllo. La segretezza è accettabile solo se finalizzata alla tutela dell’interesse collettivo e mai come strumento per aggirare la legge o nascondere decisioni discutibili. La vera sfida sta nel trovare il giusto equilibrio: proteggere la sicurezza senza sacrificare la fiducia dei cittadini. Perché in una democrazia, più un governo è trasparente, più i cittadini saranno disposti ad accettare che alcune cose, per un certo tempo, restino riservate.