L'intellettuale
algerino Khaled Fouad Allam, dopo la strage nella sede della rivista Charlie
Hebdo di Parigi, in un recente saggio, 'Il jihadista della porta
accanto', compie alcune riflessioni sul significato e la valenza simbolica di
questo attentato. Innanzitutto, è significativo che il triste evento sia
avvenuto in Francia, la patria della rivoluzione illuminista, il movimento che
si è proposto di liberare la mente dell'uomo dall'ignoranza, dalla
superstizione, valorizzando l'apporto della ragione e della scienza nella
formazione del pensiero. L'Illuminismo è infatti mancato nel mondo arabo, e
solo con l'avvento della Primavera araba quei popoli per la prima volta
hanno richiesto sistemi politici che, oltre a governare con giustizia,
assicurassero libertà e democrazia. Il conflitto con il fondamentalismo
islamico, di cui gli attentati a Parigi e a Bruxelles costituiscono la punta
esponenziale, non è nuovo ma è completamente cambiato con la nascita del
Califfato e la costituzione di un esercito che promuove nuove forme di lotta.
L'Isis con i suoi proclami invita a forme individuali di 'guerra santa',
coinvolgendo in una nuova missione 'sacra' ragazzi e ragazze nati in Europa e
di seconda generazione; una missione che consiste nel compiere crimini che
possono manifestarsi in qualsiasi luogo e che possono colpire chiunque,
penalizzando indiscriminatamente tutti i potenziali spazi di relazione
fra persone con culture e religioni diverse. Per questo l'autore definisce 'di
prossimità' questo terrorismo. Il messaggio del sedicente Califfo sembra essere
'andate e colpite ovunque'. Dice l'autore del saggio che la data del 7
gennaio 2015 suona già come l’11 settembre 2001, una specie di
spartiacque, l’entrata in una nuova era, nella quale le nostre
democrazie moderne dovranno abituarsi a non sottovalutare questa emergente
forma di minaccia, quasi permanente, che può provenire da ogni punto del
globo. L'unico modo attraverso il quale l'Occidente può contrastare i
raccapriccianti scenari che prospetta la deriva fondamentalista di matrice
islamista è una forte e coesa cooperazione internazionale; l'Occidente -
è stato autorevolmente affermato (Wael Farouq) - non deve essere un'entità
geografica, ma un insieme di valori. Al contrario l'Occidente manifesta
contraddizioni e mancanza di unione culturale, e non integra né un
interlocutore né un modello compatto, facilitando l'obiettivo dell'Isis di
cancellare quella zona grigia nella quale si articola il dialogo fra mondo
cristiano e mondo musulmano. Lo Stato Islamico, nel rivolgere il suo messaggio
di guerra e di violenza a tutti i musulmani, vuole sottomettere l'Islam per
creare un mondo diviso fra opposti. La fascinazione che il richiamo dei cattivi
maestri del radicalismo esercita sui giovani trova un terreno fertile nella
nostra difficoltà di fornire valori solidi, nel fatto che i giovani quando
escono dalla realtà virtuale popolata dai discutibili ma chiari richiami
dell'Isis, trovano il nulla. E Internet è uno strumento che facilità il
terrorismo, perché è uno mezzo passivo, che non si avvale del confronto
critico. Poi il termine jihad ha una forte suggestione perché è molto più
forte del termine guerra perché conferisce uno 'status' che è il precipitato di
una cultura di riferimento, che si manifesta con un'identità che prima
ancora di essere spirituale è esteriore. La crisi non è politica o religiosa,
ma è culturale. Peraltro, l'integrazione di etnie extraeuropee non si esaurisce
nel fornire documenti di identità, ma necessita la condivisione di una civiltà.
L'Occidente ha trascurato questa priorità, osserva acutamente l'intellettuale
algerino. La pericolosità dell'Isis che non va sottovalutata né banalizzata -
continua Khaled - è facilitata da una leggerezza della politica occidentale che
sarebbe subentrata alla caduta del muro di Berlino. Forse la distruzione dei
siti archeologici o l'accanimento verso i luoghi d'Arte hanno una loro logica perversa:
la bellezza artistica e la cultura sono un formidabile collante che unisce
popoli diversi e che va oltre le nazionalità e le visioni spirituali
differenti. Al contrario, è necessario non essere involontariamente conniventi
con il progetto di scontro dell'Isis e mantenere viva questa zona grigia del
dialogo, distinguendo i terroristi e i fondamentalisti dal resto dei musulmani
moderati. L'isolamento dei criminali e del radicalismo è la premessa
dell'unica possibile strategia vincente. L'Occidente vive invece nelle
contraddizioni, come ad esempio, privilegiando i perversi interessi finanziari
e commerciali su ogni altro valore, quella di essere nella lotta all'Isis
alleato dell'Arabia Saudita, culla dell'ideologia wahabita, o di continuare a
fare affari con lo Stato islamico (che così si procura armi e vende petrolio).
Khaled Fouad Allan teme le semplificazioni, e che cioè l'Isis sia considerato
solo l'incarnazione del male non valutando adeguatamente le potenzialità del
suo messaggio di morte. La pericolosità dello Stato Islamico è anche quella,
infatti, di aver trasformato la contestazione in un'istituzione, creando un
modello, uno Stato con un territorio, un'alternativa concreta alle nostre
contraddizioni e alla nostra identità divisa. Roberto Rapaccini