RASSEGNA STAMPA S.

RASSEGNA STAMPA S.
Clicca sull'immagine
• Il Passato sarà un buon rifugio, ma il Futuro è l'unico posto dove possiamo andare. (Renzo Piano) •

PAESI DELLA LEGA ARABA

PAESI DELLA LEGA ARABA

TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

giovedì 19 giugno 2025

IL FUTURO DELL’IRAN CON LA CADUTA DEL REGIME? GIOCHI APERTI CON L’INCOGNITA DELLA RUSSIA





Negli ultimi mesi il Medio Oriente è tornato al centro delle tensioni globali e l’Iran, uno dei suoi fulcri strategici, sta affrontando la crisi più grave dalla nascita della Repubblica Islamica. L’intensificarsi delle operazioni militari israeliane, sostenute in modo più o meno esplicito dagli Stati Uniti di Donald Trump, ha messo sotto pressione un regime già logorato da anni di isolamento, difficoltà economiche e crescente dissenso interno. Oggi più che mai il futuro politico dell’Iran appare incerto. La possibilità di un crollo del sistema teocratico, a lungo considerata remota, è divenuta una prospettiva reale. In questo scenario emergono interrogativi cruciali: che forma potrebbe assumere un Iran post-islamico? Quale sarebbe il ruolo della Russia, finora partner strategico di Teheran? E chi potrebbe incarnare la guida del Paese in una fase così delicata? Per decenni la Repubblica Islamica ha resistito a guerre, sanzioni internazionali e proteste popolari. Eppure, la crisi attuale ha caratteristiche diverse: colpisce contemporaneamente la legittimità interna e la tenuta del sistema sul piano geopolitico. La fiducia della popolazione si è assottigliata. Le grandi proteste del 2019 e quelle esplose nel 2022 dopo la morte di Mahsa Amini hanno rivelato una frattura profonda tra le nuove generazioni e l’establishment religioso. Una crescente parte della società iraniana rifiuta il fondamento teocratico del regime e auspica un cambiamento strutturale. A confermare questa tendenza sono anche le indagini condotte da GAMAAN – un centro di ricerca indipendente con sede nei Paesi Bassi – che attraverso sondaggi anonimi online riesce a misurare l’opinione pubblica iraniana aggirando la censura e godendo di indipendenza politica: questo garantisce un livello di neutralità e oggettività spesso difficile da ottenere in contesti autoritari come l’Iran. Secondo i suoi dati, la maggioranza dei cittadini, soprattutto tra gli adulti istruiti, auspica un sistema laico e democratico, rifiutando esplicitamente forme di governo basate sulla religione. Sul piano economico e sociale il Paese è stremato. L’inflazione galoppa oltre il 40%, la disoccupazione giovanile resta cronica, l’accesso a Internet è fortemente limitato e i media indipendenti sono pressoché inesistenti. Anche l’apparato repressivo mostra segni di logoramento: le fratture tra i Pasdaran – la Guardia Rivoluzionaria – e le forze di sicurezza ordinarie si fanno sempre più visibili. All’esterno la situazione è altrettanto critica. Le infrastrutture strategiche, incluse quelle nucleari e militari, sono state colpite da attacchi israeliani. Il nuovo corso della politica americana, tornata sotto la guida di Trump, ha abbandonato ogni logica negoziale, puntando con chiarezza a un cambio di regime. Gli alleati regionali dell’Iran – come Hezbollah o le milizie sciite in Siria e Iraq – sono oggi più deboli, spesso presi di mira o in ritirata. In questo contesto la Russia ha giocato un ruolo visibile ma ambivalente. Dopo l’invasione dell’Ucraina Mosca ha rafforzato i rapporti con Teheran, ricevendo droni e supporto tecnologico, e offrendo in cambio collaborazione diplomatica ed economica. Tuttavia, questa alleanza ha sempre avuto un carattere opportunistico. Non esistono legami culturali profondi tra i due Paesi, né un’ideologia condivisa. Il trattato firmato nel gennaio 2025, pur presentato come strategico, non prevede alcuna clausola di mutua difesa. Anzi, Mosca ha più volte evitato di fornire all’Iran armamenti richiesti, segno di una volontà di non esporsi troppo. L’atteggiamento del Cremlino riflette una precisa priorità: non compromettere il proprio margine di manovra con gli Stati Uniti e non distrarre risorse dal conflitto in Ucraina. Secondo fonti diplomatiche la Russia cercherà semmai di proteggere i propri interessi sul terreno, negoziando con qualunque nuovo attore emerga, ma senza impegnarsi nella difesa attiva del regime attuale. In questo senso lo scenario che si prospetta per l’Iran richiama da vicino quanto accaduto in Siria dopo l’indebolimento del regime di Assad: una perdita d’influenza per Mosca, senza contropartite. Nel frattempo, si moltiplicano le ipotesi su chi potrebbe guidare il Paese nel caso di una caduta del sistema attuale. Tre scenari si delineano con maggiore chiarezza. Il primo, e probabilmente più immediato, è quello di un governo di transizione guidato dai Pasdaran. Forte della sua struttura capillare e del controllo su settori chiave dell’economia e della sicurezza, la Guardia Rivoluzionaria potrebbe decidere di sacrificare il potere religioso per preservare la propria centralità. Il clero verrebbe così emarginato e il potere passerebbe a una forma di autoritarismo militare secolarizzato, simile a quanto avvenuto in Egitto con l’ascesa di al-Sisi. Un simile assetto potrebbe garantire ordine a breve termine, ma rischierebbe di aggravare il distacco tra istituzioni e società civile, ormai sempre meno disposta ad accettare forme di governo autoritarie. Il secondo scenario, più ambizioso ma anche più fragile, è quello di una transizione democratica promossa da forze laiche. La base sociale di questo progetto esiste: nelle università, tra le donne, nella diaspora, tra attivisti e intellettuali, si è consolidato un movimento che auspica un Iran pluralista, secolare e rispettoso dei diritti fondamentali. Tuttavia, questa galassia di opposizione soffre di frammentazione, mancanza di una guida condivisa e scarsa capacità operativa sul territorio. Senza un sostegno esterno forte e senza garanzie di non ingerenza da parte dei militari, la possibilità di vedere affermarsi una vera democrazia resta incerta, anche se non impossibile. Infine, vi è una terza ipotesi, di natura più simbolica che strutturale: il ritorno sulla scena pubblica di Reza Cyrus Pahlavi, figlio dell’ultimo Scià. Negli ultimi anni, il suo nome è tornato a circolare soprattutto tra i giovani e nella diaspora. Pahlavi non chiede esplicitamente la restaurazione della monarchia, ma si propone come figura di raccordo per una fase di transizione, sulla scia di quanto accadde in Spagna con Juan Carlos. Il suo ruolo potrebbe essere quello di garante morale, non di leader politico. Ma anche qui i limiti sono evidenti: manca una base organizzata all’interno del Paese, il nome Pahlavi divide ancora l’opinione pubblica, e il contesto attuale richiede risposte più strutturate che simboliche. Queste tre ipotesi non si escludono a vicenda. Una transizione complessa potrebbe attraversare più fasi: un primo momento di controllo militare, seguito da aperture democratiche, fino all’emergere di figure di mediazione capaci di tenere insieme il tessuto nazionale. Quel che è certo è che l’Iran si trova davanti a una svolta storica. La Repubblica Islamica non è più intoccabile. Il contesto interno ed esterno spinge verso un cambiamento che, sebbene incerto nei tempi e nei modi, appare sempre meno evitabile. In questo scenario la Russia difficilmente potrà giocare un ruolo determinante. Lontana per cultura e priva di leve politiche durature in Iran, Mosca assisterà con preoccupazione al crollo di un alleato strategico, cercando di salvare ciò che può. Il rischio per il Cremlino è quello di vedere svanire, in pochi mesi, anni di investimenti politici e infrastrutturali. La domanda, dunque, non è più se il regime iraniano sopravvivrà, ma chi guiderà il Paese dopo di esso. La risposta dipenderà tanto dalle forze in campo quanto dalla capacità degli attori interni ed esterni di accompagnare una transizione pacifica, legittima e duratura. La partita è aperta e il suo esito ridisegnerà il Medio Oriente per gli anni a venire.

 

Roberto Rapaccini